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Antichi sapori

asàrotos oikos
"Asàrotos oikos", II sec.
Slow Food Bassa Bresciana e il Museo Civico di Manerbio si sono incontrati in un ciclo di tre conferenze con degustazioni, dedicate agli “Antichi sapori”: a volte esistenti tuttora, a volte andati perduti, per la riduzione della biodiversità. Il 4 maggio 2017, è stata la volta di “Magna Roma. Storia e tradizioni alimentari dell’antica Roma”. La dott.ssa Elena Baiguera, conservatrice del Museo Civico manerbiese, ha citato Marco Gavio Apicio (I sec. a.C. - I sec. d.C). A lui è attribuito il De re coquinaria, un ricettario in X libri.
A Pompei, la lava ha sigillato datteri, noci, farro e il cosiddetto panis quadratus, ovvero tagliato in quattro spicchi. Tra le fonti iconografiche, esistono mosaici recanti il tema dell’ asàrotos òikos (in greco: “pavimento non spazzato”). I resti di cibo qui documentati sono soprattutto di pesce. Esisteva lo street food: quello delle cauponae e dei thermopolii, antenati dei bar. Molto diffusa era la puls, una pappetta di cereali. I condimenti erano olio e garum: una salsa a base di pesce fermentato.
antichi sapori slow food
Elena Baiguera fra i relatori
di "Magna Roma".
            Ai Longobardi era dedicato l’incontro del 18 maggio: “Romani, barbari e cristiani: un nuovo modello alimentare. L’Alto Medioevo”. La dott.ssa Elena Baiguera ha illustrato la situazione: il decadimento delle strutture politiche determinò il declino dell’agricoltura. L’alimentazione longobarda era perciò carnea - anche per via delle loro origini di nomadi, poco avvezzi alla coltivazione. È rimasta una lettera di Antimo (VI sec.): De observatione ciborum, raccomandazioni alimentari al re Teodorico. Dell’agricoltura, parlano i “polittici”: testi d’informazione sul territorio, in funzione del loro governo. È famoso il “Polittico di S. Giulia” (dall’omonimo monastero bresciano).
            La caccia era amata dagli aristocratici anche come addestramento alla guerra. L’allevamento era praticato nella curtis: proprietà nobiliare antenata della cascina. Nacquero i ciccioli e i salumi, fra cui il “buristo”: salsiccia contenente una parte di sangue. Non andò perso, però, l’amore romano per l’agrodolce e per il pesce. Ricercata era la lampreda, stufata in sangue e vino. Per quanto riguarda la cucina povera, ogni capanna aveva un orto. I monaci consumavano pane bianco e birra, dolcificata col miele. Erano apprezzate castagne e mandorle: da cui, l’usanza dei confetti nuziali e l’invenzione della colomba. Cominciò a comparire la forchetta
forchetta in banchetto longobardo
Miniatura longobarda in cui 
compare la forchetta.
            Il ciclo si è concluso l’8 giugno: “Cuochi e gourmet alla corte dei principi. L’alimentazione nel Rinascimento”, con la dott.ssa Denise Faciocchi. Fra ‘300 e ‘500, si professionalizzò la figura del cuoco, necessario alle corti. Si diffusero trattati gastronomici e ricettari. Furono inventati fornello e lavabo. La cucina povera è documentata soprattutto per via iconografica. Appannaggio della massaia, si componeva d’acqua, cereali e legumi.
            Veri e propri rituali erano invece i banchetti di corte. Si componevano di diversi “servizi”: primo, secondo e così via. S’impiegavano coltello e forchetta. Le suppellettili erano pregiate e comprendevano sculture di zucchero. Alla fine, erano serviti dolci e ipocrasso: vino dolcificato e speziato.
Era assai presente la carne ovina (“scarto” della produzione tessile). Gli uccelli erano serviti ripieni e rivestiti delle proprie penne. Nacquero panforte e panpepato. Si affermarono cannella, chiodi di garofano, zafferano e zucchero. Novità (non sempre benviste) furono caffè, tè e cioccolato. La scoperta dell’America portò in Europa mais, patate e tacchini. Si diffuse l’uso delle paste ripiene (tortellini e ravioli).
banchetto di corte rinascimentale
Banchetto in una 
corte rinascimentale.

            Le degustazioni, naturalmente, erano a tema: zuppa di farro, pane di segale e idromele per l’età romana; salumi, pane di monococco e birra al miele per quella longobarda; per la terza serata, casoncelli e biscotti detti “bozzolati delle monache”, annaffiati dal Marzemino, tratto da un vitigno autoctono italiano comparso proprio nel XV sec.

Paese Mio Manerbio,  N. 122 (luglio 2017), p. 6.

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