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La Commedia dei quattro elementi

Il 23 marzo 2017, al Teatro Civico “M. Bortolozzi”, la Libera Università di Manerbio ha visto il gradito ritorno del dott. Fabrizio Bonera, amante e commentatore della “Commedia” dantesca. Il titolo della conferenza era, appunto: “L’aria, l’acqua, la terra e il fuoco nella Divina Commedia”.
In Inf. XII, vv. 1 ss, è ravvisabile l’allusione a un paesaggio reale: gli Slavini di Marco, a sud di Rovereto. Il dott. Bonera li ha descritti come fondo di un mare preistorico, ma anche come l’inferno personale di suo nonno, durante la Prima Guerra Mondiale. Qui passavano, infatti, le linee del fronte. Dante - secondo Bonera - avrebbe dunque in mente non solo l’Inferno teologico, ma gli inferni delle infelicità personali. Quelle infelicità la cui rimozione è scopo della vita umana, secondo la famosa epistola a Cangrande della Scala. 
            I quattro elementi naturali, nella Commedia, sono disposti secondo la concezione aristotelica dell’universo, in versione cristianizzata. La caduta di Lucifero avrebbe fatto sì che le terre emerse si ritraessero nell’emisfero boreale, per l’orrore, e che le acque formassero un velo, nell’emisfero australe. Nell’emisfero boreale, si trova Gerusalemme, sotto cui si apre la voragine dell’Inferno. Nell’emisfero australe, s’innalza la montagna del Purgatorio.
            Per quanto riguarda la struttura dell’oltretomba, Dante è in debito con Virgilio, che lo descrive nel libro VI dell’Eneide. Virgiliana è pure l’idea dei fiumi dell’oltretomba. Nell’Inferno dantesco, essi sono uno solo che prende nomi diversi: Acheronte, Stige, Flegetonte, Cocito. Secondo Inf. XIV, vv. 94 ss., la loro sorgente si trova a Creta: luogo di culto di Zeus come “il Grande Giovane”, simbolo della giustizia umana imperitura. Per questo, l’isola era sinonimo di quella felicità dovuta a razionalità e corretto comportamento. Il v. 103 converte “il Grande Giovane” in un “gran veglio”, un vecchio malfermo e piangente: dalla superbia di poter essere felici grazie alle sole norme morali, nascono le acque dell’Inferno. 


            L’Acheronte rappresenta la separazione dal mondo: la dannazione è la disgiunzione atavica fra l’uomo e il senso dell’universo. Ripiegarsi sulla propria verità particolare (ha spiegato Bonera) porta a una forma di follia che fa amare il proprio errore. La giustizia divina che anima i dannati diviene così uno sprone a gettarsi nell’orrore. Lo Stige è una palude: è l’ebbrezza di sopraffare (ira), o il macerarsi nel malanimo (accidia). Il Flegetonte (fatto di sangue bollente) è il fiume della violenza cieca, proveniente dalle parti più ancestrali della psiche (i Centauri). Il Cocito è l’acqua infernale congelatasi nell’odio e nella frode. Si trova al fondo dell’Inferno, ove la ragione si perverte a fini malvagi. In tale ghiaccio, è conficcato Lucifero. Ma proprio dal suo corpo provengono le lacrime e la bava che sciolgono Cocito. Il pianto è compassione e riconoscimento dei propri limiti: per esso passa la via che fa uscire dall’orrore. Nel Purgatorio, il dolore non è più ricerca dell’orribile, ma sprone verso una vita migliore. I suoi fiumi sono il Lete (di provenienza virgiliana) e l’Eunoè (invenzione dantesca): le loro acque cancellano il ricordo del male e ravvivano quello del bene. Gli “atti perfetti” di cui l’Eunoè ravviva la memoria (ha spiegato Bonera) sono quelli compiuti in conformità col principio che regola l’universo. È lo stesso tipo di memoria che genera l’arte: la permanenza della condizione che precede le nostre esperienze negative (Paradiso terrestre). Il Paradiso è invece lo stato in cui non esiste più separazione fra l’uomo e l’ordine universale, come spiega Piccarda Donati (Par. III, vv.85-87): “…’n la sua [di Dio] volontade è nostra pace:/ell’è quel mare al qual tutto si move/ciò ch’ella cria e che natura face.”

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