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Giustizia e perdono

L’Associazione Culturale Chirone di Manerbio ha dedicato tre incontri a termini tanto abusati quanto centrali per la civiltà: “Giustizia e perdono”.
Il 19 febbraio 2017, nell’Aula Magna del “B. Pascal”, ha avuto luogo “Un perdono storico. La strada della riconciliazione”. Il pubblico ha incontrato Agnese Moro (figlia di Aldo Moro), Maria Grazia Grena (ex-brigatista), Manlio Milani (sopravvissuto alla strage di Piazza Loggia) e Anna Cattaneo (Ufficio Giustizia Riparativa di Bergamo). Hanno raccontato la propria esperienza del “gruppo di riconciliazione”: il bisogno di liberarsi dal dolore (A. Moro), la rinuncia alla convinzione di aver intrapreso la lotta armata in nome di una verità assoluta e al rancore lasciato dalla violenza di Stato (M.G. Grena); il desiderio di capire come una cultura politica abbia potuto generare la lotta armata (M. Milani). Il ruolo della Cattaneo e degli altri “soggetti terzi” era quello di rompere l’ “effetto specchio”: l’arroccarsi nei propri ruoli e sulle proprie ragioni. 


            Il 23 febbraio, al Teatro Civico “M. Bortolozzi”, è stata la volta di: “Il perdono nel carcere e nella società italiana”. Hanno parlato Silvia Guarneri, avvocato delle vittime della strage di Piazza Loggia, e il prof. Carlo Alberto Romano, docente di Criminologia all’Università degli studi di Brescia, nonché presidente dell’Associazione Carcere e Territorio. “Perdono” non è un termine giuridico. L’avv. Guarneri ha però illustrato una serie di modi in cui una pena può essere rimessa. L’amnistia e l’indulto sono “interventi dall’alto” che la rendono non esecutiva, per svuotare le carceri. La sospensione condizionale si applica a reati lievi. La prescrizione è legata all’interesse sociale e alla necessità di non prolungare il calvario di vittime e falsi colpevoli. L’avv. Guarneri si è concentrata sull’utilità educativa e sociale di una pena. Essa viene spesso persa di vista sia dal sistema sanzionatorio che dalla cittadinanza, incline a disinteressarsi delle carceri o a pensare che servano solo per “far soffrire”. Il prof. Romano ha sottolineato che i reati si generano all’interno della comunità e che proprio per questo essa dovrebbe essere più coinvolta nella gestione delle loro conseguenze. 

            Il finale si è tenuto il 5 marzo, nell’Aula Paolo VI dell’Oratorio “S. Filippo Neri”: “La giustizia di Dio e la giustizia degli uomini”. Il relatore era il prof. Luciano Eusebi, docente di Diritto Penale all’Università Cattolica del Sacro Cuore. Ha cominciato considerando l’immagine associata alla giustizia nel mondo occidentale: la bilancia. Essa è un simbolo della “legge del taglione”. Ma, nell’era delle armi di distruzione di massa, quest’idea - ha sostenuto Eusebi - potrebbe condurre all’autodistruzione del genere umano. Ha così recuperato un’idea di “giustizia divina” quale traspare già nell’Antico Testamento. Nella Genesi, essa è evidente nei casi di Adamo ed Eva e di Caino e Abele, archetipi del genere umano. La perdita del paradiso terrestre non è un castigo - ha affermato Eusebi - ma la condizione di una vita insensata, dovuta al rifiuto dell’etica. Caino, istituendo la legge dell’eliminazione dell’indesiderato, si rende conto di aver messo anche se stesso in una posizione di insicurezza. Dio, anziché punire, restituisce strade verso la felicità. Adamo ed Eva ricevono tuniche di pelli, a copertura del loro fallimento esistenziale; a Caino viene garantita una protezione. Anche il sacrificio di Cristo - ha sostenuto Eusebi - non è un “ripagamento delle colpe dell’umanità”, ma l’interruzione della catena delle ritorsioni. Rinunciare alla giustizia-bilancia è - per Eusebi - l’unico modo per far sì che duemila anni di Cristianesimo non si rivelino un fallimento.


Paese Mio Manerbio, N. 119 (aprile 2017), p. 14.

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