Passa ai contenuti principali

Ansia a 45 giri

Io sono una persona ansiosa, circondata da persone ansiose. Ergo, affrontare la questione “ansia” nei rapporti umani è per me come ascoltare il caro, vecchio “45 giri…” 


LATO A

L’insorgere dell’ansia dipende, in larghissima parte, dal proprio carattere. Darne interamente agli altri la colpa, quindi, è scorretto. Bastano cose innocentissime, come accennare a un progetto concreto per il futuro, a scatenare una crisi in siffatte persone. O una corriera da prendere il giorno dopo. O un paio di mutande da cambiare. O una notte fuori casa. Praticamente, per “non far venire l’ansia” a certuni, bisognerebbe evitare di parlar loro della vita. O non vivere affatto.

LATO B

Però, è vero anche che i nostri periodi di fragilità, esaurimento e - appunto - ansia trovano raramente vera comprensione e vero rispetto. Anzi: coloro che ci circondano - in buona fede! - fanno spesso di tutto per peggiorar le nostre condizioni. Quando stiamo male, i nostri dintorni pullulano di maestrini di vita che credono di conoscere il nostro bene meglio di noi, che fanno di tutto per voltarci il cervello (per il nostro bene, certo. E UN PO’ anche per il loro). Gente a cui abbiamo lavato i piedi e pulito il sedere tutte le volte che ne aveva l’esigenza risalta fuori a darsi arie di “forte e saggio”. E, quasi quasi, ci dà pure dei “vittimisti”. I problemi degli altri sono sempre “vittimismo”. Per non esplodere, o per recuperare un minimo di autostima e autonomia di giudizio, non resta che allontanarsi da costoro. Naturalmente, recando lo stigma di “ingrati” o “vigliacchi”. Perché loro sono intervenuti per il nostro bene.


Che dire? Fortunae rota volvitur, come cantano i Carmina Burana. E così pure il “45 giri” dell’ansia, che va ascoltato su entrambi i lati, se se ne vogliono comprendere i contenuti. Da parte mia, massima solidarietà sia a chi sopporta l’ansia altrui, sia a chi ne soffre in prima persona. Gli unici che non potrò mai scusare sono le tante “coscienze di Zeno” che si crogiolano nella propria fragilità, senza vedere o rispettare quella degli altri. Che si prendono un braccio laddove è stato offerto un dito e non sono ancora sazi. Che ti accusano dei loro difetti e ti fanno patire i loro mali. Che giocano a sfruttarti per sentirsi più forti. Che cercano di guastare ogni tua gioia o successo, per invidia.
            O chi non sa rispettare il male di vivere, perché non ne ha mai sofferto o non lo vuol vedere.

Buon ascolto!

Commenti

Post popolari in questo blog

Letteratura spagnola del XVII secolo

Il Seicento è, anche per la Spagna, il secolo del Barocco. Tipici della letteratura dell'epoca sono il "culteranesimo" (predilezione per termini preziosi e difficili) e il "concettismo" (ricerca di figure retoriche che accostino elementi assai diversi fra loro, suscitando stupore e meraviglia nel lettore). Per liberare il Barocco dall'accusa di artificiosità, si è cercato di distinguere una corrente "culterana", letterariamente corrotta e di contenuti anche immorali, da una corrente "concettista", nutrita dalla grande tradizione intellettuale e morale spagnola. E' vero che il Barocco spagnolo vede, al proprio interno, vivaci polemiche fra autori (come Luis de Gòngora e Francisco de Quevedo) e gruppi. Ma l'esistenza di queste due contrapposte correnti non ha fondamento reale. Quanto al concettismo, è interessante notare come esso sia stato alimentato dalla significativa definizione che di "concetto" ha dato Francesco

Farfalle prigioniere, ovvero La vita è sogno

Una giovane mano traccia le linee d’una farfalla. Una farfalla vera si dibatte sotto una campanella di vetro. La mano (che, ora, ha il volto d’un giovane pallido e fine) alza la campanella. L’insetto, finalmente libero, si libra e guida lo spettatore nella storia del suo alter ego, la Sposa Cadavere.              Così come Beetlejuice , The Corpse Bride (2005; regia di Tim Burton e Mike Johnson) si svolge a cavallo tra il mondo dei vivi e quello dei morti, mostrandone l’ambiguità. A partire dal fatto che il mondo dei “vivi” è intriso di tinte funeree, fra il blu e il grigio, mentre quello dei “morti” è caleidoscopico, multiforme, scoppiettante. A questi spettano la gioia, la saggezza e la passione; a quelli la noia, la decadenza, l’aridità. Fra i “vivi”, ogni cosa si svolge secondo sterili schemi; fra i “morti”, ogni sogno è possibile. Per l’appunto, di sogno si tratta, nel caso di tutti e tre i protagonisti. A Victor e Victoria, destinati a un matrimonio di convenienza, non è co

"Gomorra": dal libro al film

All’inizio, il buio. Poi, lentamente, sbocciano velenosi fiori di luce: lividi, violenti. Lampade abbronzanti che delineano una figura maschile, immobile espressione di forza.   Così comincia il film Gomorra, di Matteo Garrone (2008), tratto dal celeberrimo libro-inchiesta di Roberto Saviano. L’opera del giornalista prendeva avvio in un porto: un container si apriva per errore, centinaia di corpi ne cadevano. Il rimpatrio clandestino dei defunti cinesi era l’emblema del porto di Napoli come “ombelico del mondo”, dal quale simili traffici partono ed al quale approdano, da ogni angolo del pianeta. Il film di Garrone si apre, invece, in un centro benessere, dove regna un clima di soddisfazione e virile narcisismo. Proprio qui esplode la violenza: tre spari, che interrompono il benessere e, al contempo, sembrano inserirvisi naturalmente, come un’acqua carsica che affiora in un suolo perché sotto vi scorreva da prima. Il tutto sottolineato da una canzone neomelodica italiana: i