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“Il Misantropo” di Molière al Politeama

La XXI stagione teatrale del Politeama di Manerbio ha incluso “Il Misantropo” di Molière, commedia di carattere andata in scena per la prima volta a Parigi al Théatre du Palais-Royal, il 4 giugno 1666. La rappresentazione era a cura di Elsinor Centro di Produzione Teatrale; la traduzione del testo dal francese era firmata da Cesare Garboli, mentre regia e adattamento erano di Monica Conti. Quest’ultima era aiutata da Carlotta Viscovo e Jacopo Angelini. Roberta Vacchetta si era occupata dei costumi, Cesare Agoni delle luci, Giancarlo Facchinetti delle musiche e Andrea Anselmini della scenografia. Lo spettacolo è andato in scena il 1 dicembre 2016. 

            Molière è lo pseudonimo di Jean-Baptiste Poquelin (Parigi 1622 - ivi 1673). Compose diverse satire di costume e commedie di carattere. Divenne il commediografo favorito di Luigi XIV. “Il Misantropo” appartiene al suo periodo maturo. Molière si trovava in un ambiente di corte ipocrita e maldicente; si era separato dalla moglie amata, ma infedele. L’amarezza de “Il Misantropo” ha dunque non poco di autobiografico. L’opera contiene anche la cultura classica di Molière, mostrata soprattutto dai nomi grecizzanti dei personaggi.
            Alceste (Roberto Trifirò) vive separato dalla corte e dal consorzio umano, perché incapace di digerire le ipocrisie, le ingiustizie e i compromessi di comodo. A nulla valgono i consigli dell’amico Filinte (Mauro Malinverno), “uomo di mondo” fin troppo accomodante. Per ironia della sorte, l’integerrimo Alceste si è innamorato di Célimène (Flaminia Cuzzoli), giovane vedova che brilla in quel bel mondo da lui rifiutato, lusingando tutti gli spasimanti. La relazione fra i due si regge su un perenne conflitto. Forse, perché «l’insulto eccita il desiderio», come dice lei. O forse, perché la donna condivide con Alceste la capacità di ritrarre impietosamente i difetti caratteriali. Fatto sta che questo precario equilibrio viene spezzato da Arsinoe (Stefania Medri), falsa devota e falsa amica di Célimène. È lei a mostrare una lettera galante della vedova, rivolta a Oronte (Nicola Stravalaci), gentiluomo con la velleità della poesia. Alceste, amareggiato, si getta ai piedi di Eliante (Giuditta Mingucci), cugina della sua donna e di cuore più affidabile. Ma la vicenda non finirà neppure così… Anche Acaste (Stefano Braschi) e Clitandro (Antonio Giuseppe Peligra), gli altri due spasimanti di Célimène, porteranno sorprese.
           
La messa in scena manerbiese ha optato per una scenografia minimale e per costumi contemporanei. La commedia è stata così estrapolata dal contesto dell’epoca, per focalizzarsi sui meccanismi universali dei caratteri umani. La stessa Monica Conti è comparsa per prima, per sedersi a un pianoforte ed evocare con le note le ombre dei personaggi, dietro un velo che chiudeva la scena. Le uniche due panche erano, di volta in volta, appoggi per le figure sedute in conversazione e muri di conflitti dissimulati, ma sempre vivi. Fra maschere animalesche, il misantropo Alceste era l’unico a volto scoperto. Ma la sua ricerca di moralità assoluta si rivela autodistruttiva. Nei suoi sentimenti, vi è qualcosa di ossessivo e possessivo, che quasi spiegherebbe i tentativi di Célimène di sfuggirgli di mano. Il lieto fine è solo per quei personaggi che sanno combinare la schiettezza di carattere all’accettazione del prossimo così com’è.


Fotografie: © Carlo Monterenzi 

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