Passa ai contenuti principali

Le rose della notte - I, 9

Parte I: Sorelle



9.

Quella sera, Diana uscì dalla festa di Arcigay al Caffè Teatro celiando amabilmente con Margherita. «Fortissime, le drag!» commentò quest’ultima, con gli occhi accesi. «Il vestito di Rita Gayworth era incredibile… così fasciante… eppure, non sembrava che stesse indosso a un maschio. Lei era veramente uno schianto».
            «Dici?» insinuò Diana, con un languore di malizia nella voce. Sulle guance affusolate di Margherita, passò un altro dei suoi sfuggevoli rossori.
Attraversarono il pavé ed approdarono davanti al portico del Teatro Fraschini. Nella bacheca, avvampava una smaltata Turandot in locandina. Ma le luci erano tutte spente. Era trascorso l’orario di apertura. Il teatro emanava la vuotezza carica di fantasmi di ogni luogo di spettacolo, una volta abbandonato da attori e spettatori.
            «Fermiamoci un attimo sotto il portico» invitò Diana. «Vorrei fumarmi una sigaretta. Ti disturba?»
Margherita levò verso di lei iridi stranamente umide. «Assolutamente no». E suonò come la firma di un patto subliminale.
            Si immersero nell’ombra e appoggiarono la schiena a uno dei pilastri, voltando le spalle alla strada. Ora che non erano più distratte dal resto del mondo, potevano quasi udire i reciproci respiri uno per uno.
Diana si frugò nelle tasche del giubbotto. Estrasse il pacchetto delle sigarette e ne prese una. Ma non l’accese. Ci giocherellò nervosamente, guardando verso il buio che inghiottiva il soffitto. Accanto a lei, Margherita era uno spettro leggero, come la prima volta che l’aveva incontrata. Eppure, il suo corpo non era più una rivelazione repentina, come lo era stato all’urto in quel vicolo. Stavolta, era costante e concreto.
            Come in sogno, Diana lasciò cadere la sigaretta e immerse le dita nei capelli di lei. L’amica si lasciò attirare sulla sua spalla, morbidamente. La prima si ritrovò a baciarle la fronte, le ciocche, il collo. Con volontà trepidante, risalì fino alle sue labbra. La lingua di Margherita rispose al suo bacio, come un petalo tiepido e guizzante. 
            Diana le strinse i fianchi, fino a sentire il corpo dell’altra aderire completamente al suo. Gli abiti autunnali parevano quasi difenderle dall’amplesso, acuendo la loro furia. Le carezze di Diana arrivarono a disegnare la curva insidiosa tra la schiena e le anche – delicate e tornite.
            La bocca fresca di Margherita suggeva sempre più impazientemente la sua, così ferma e scottante. La mano sottile che aveva sedotto Diana fin da subito premeva sul suo seno di valchiria, senza osar sorpassare il divieto della giacca.
            Si staccarono, con i cuori che martellavano una marcia indecifrabile e, sulle labbra, il sapore di un pasto strano, da iniziate.


[Fine prima parte]

Pubblicato sul quotidiano on line Uqbar Love (6 dicembre 2016).

Commenti

Post popolari in questo blog

Letteratura spagnola del XVII secolo

Il Seicento è, anche per la Spagna, il secolo del Barocco. Tipici della letteratura dell'epoca sono il "culteranesimo" (predilezione per termini preziosi e difficili) e il "concettismo" (ricerca di figure retoriche che accostino elementi assai diversi fra loro, suscitando stupore e meraviglia nel lettore). Per liberare il Barocco dall'accusa di artificiosità, si è cercato di distinguere una corrente "culterana", letterariamente corrotta e di contenuti anche immorali, da una corrente "concettista", nutrita dalla grande tradizione intellettuale e morale spagnola. E' vero che il Barocco spagnolo vede, al proprio interno, vivaci polemiche fra autori (come Luis de Gòngora e Francisco de Quevedo) e gruppi. Ma l'esistenza di queste due contrapposte correnti non ha fondamento reale. Quanto al concettismo, è interessante notare come esso sia stato alimentato dalla significativa definizione che di "concetto" ha dato Francesco

Farfalle prigioniere, ovvero La vita è sogno

Una giovane mano traccia le linee d’una farfalla. Una farfalla vera si dibatte sotto una campanella di vetro. La mano (che, ora, ha il volto d’un giovane pallido e fine) alza la campanella. L’insetto, finalmente libero, si libra e guida lo spettatore nella storia del suo alter ego, la Sposa Cadavere.              Così come Beetlejuice , The Corpse Bride (2005; regia di Tim Burton e Mike Johnson) si svolge a cavallo tra il mondo dei vivi e quello dei morti, mostrandone l’ambiguità. A partire dal fatto che il mondo dei “vivi” è intriso di tinte funeree, fra il blu e il grigio, mentre quello dei “morti” è caleidoscopico, multiforme, scoppiettante. A questi spettano la gioia, la saggezza e la passione; a quelli la noia, la decadenza, l’aridità. Fra i “vivi”, ogni cosa si svolge secondo sterili schemi; fra i “morti”, ogni sogno è possibile. Per l’appunto, di sogno si tratta, nel caso di tutti e tre i protagonisti. A Victor e Victoria, destinati a un matrimonio di convenienza, non è co

"Gomorra": dal libro al film

All’inizio, il buio. Poi, lentamente, sbocciano velenosi fiori di luce: lividi, violenti. Lampade abbronzanti che delineano una figura maschile, immobile espressione di forza.   Così comincia il film Gomorra, di Matteo Garrone (2008), tratto dal celeberrimo libro-inchiesta di Roberto Saviano. L’opera del giornalista prendeva avvio in un porto: un container si apriva per errore, centinaia di corpi ne cadevano. Il rimpatrio clandestino dei defunti cinesi era l’emblema del porto di Napoli come “ombelico del mondo”, dal quale simili traffici partono ed al quale approdano, da ogni angolo del pianeta. Il film di Garrone si apre, invece, in un centro benessere, dove regna un clima di soddisfazione e virile narcisismo. Proprio qui esplode la violenza: tre spari, che interrompono il benessere e, al contempo, sembrano inserirvisi naturalmente, come un’acqua carsica che affiora in un suolo perché sotto vi scorreva da prima. Il tutto sottolineato da una canzone neomelodica italiana: i