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Le rose della notte - I, 6

Parte I: Sorelle



6.

Diana appoggiava il gomito sul bancone dell’Irish Pub “Il Broletto”. Un’altra delle sue mete favorite, nelle notti che rubava allo studio o al sonno. Del resto, lei non aveva mai troppo bisogno di dormire. E una memoria fotografica sostituiva le ore di applicazione sulle pagine.
           
Le piaceva particolarmente quell’atmosfera ovattata dai legni scuri e dai vetri colorati, illuminata da fiammelle artificiali – ma calde e fumose nella fantasia. Gli avventori potevano appartarsi in nicchie, o sostare accanto a un caminetto puramente ornamentale; sedere su divanetti o arrampicarsi su sgabelli, come aveva fatto lei. Qua e là, manifesti pubblicitari d’epoca ricordavano storiche marche di birra. Lei, quella sera, aveva ordinato una Franziskaner – giusto per variare.
            Aveva le labbra immerse in quel liquido giallo dorato, quando colse un certo movimento all’ingresso. Un gruppo di ragazzi e ragazze si snocciolò nel locale, chiacchierando lietamente. Fra di loro, Diana colse l’immagine aggraziata e sottile della giovane che l’aveva urtata nel vicolo, quella notte, vicino alle Poste. Il suo sguardo la seguì, come se un filo invisibile legasse le sue pupille alla schiena dell’altra. La vide prendere posto nella saletta adiacente, insieme ai compagni, e affidare il cappotto grigio a un appendiabiti.
            A sorsi lenti e centellinati, Diana finì il bicchiere. Il suo gesto aveva qualcosa di una calcolata attesa. E, infatti, poco dopo, la sconosciuta ripassò davanti al bancone, già riavvolta nel cappotto.
            «Ciao!»
L’altra si riscosse con sorpresa. «Ehi, ciao…!»
Diana piegò le labbra in compiaciuta ironia: «Si rivede la nottambula».
«Da che pulpito, eh?» fu svelta a ribattere la destinataria, con voce sorniona.
La prima sorrise, stavolta per un segreto calore d’apprezzamento. Ha un bello spirito, dietro quel viso di madonna.
            Senza attendere invito, la sconosciuta guadagnò lo sgabello accanto a quello di Diana e si sbottonò il cappotto. Un maglione a collo alto e una gonna di lana difendevano la sua figura di giunco, con gambe che s’indovinavano regolari e forme piacevoli nella propria discrezione – come lei. Tese verso Diana una di quelle mani affusolate che lei aveva notato fin dalla prima sera: «Piacere, Margherita. Margherita Cappello da Verona».
            «Non c’era bisogno di tanta solennità» la punzecchiò garbatamente l’altra. «Comunque, Diana. Diana Romeo da Pavia. Piacere mio, eccome».
            La nuova amica la ricambiò con un sorriso lusingato. Un velo di rossore ingentilì le sue guance lattee.
«Sono venuta a bere qualcosa coi miei compagni di redazione, dopo la riunione di stasera» spiegò. «Scrivo per Inchiostro, il mensile universitario. Lo conosci?»
«Certo!» confermò Diana. «Lo vedo sempre in facoltà, nei dispenser».
«E tu… che ci fai di bello, qui?» replicò Margherita, suadente.
«Solitudine alcolica». L’altra indossò un tono di misteriosa esperienza. «Favorisce l’ispirazione».
«Ispirazione… per cosa?» L’amica sgranò due caldi occhi castani, fra lunghe ciglia.
            Diana, allora, prese a parlarle in termini che le risultavano quasi esoterici, fra black metal, folk metal, pagan metal. «Sono cantante e paroliera in un gruppo. So che può sembrare una scelta un tantino esterofila… ma mettiamo molto del nostro retroterra culturale, nella nostra musica. Oltre agli strumenti elettronici, abbiamo il piffero appenninico, la “musa delle Quattro Province” e la fisarmonica. Chissà se ti piacerebbe…»
            Le sfuggì un’occhiata languida. Colpa dell’alcool, si disse.
«Magari!» rispose Margherita, con voce argentina. «Mi piacerebbe andare avanti ad ascoltarti, davvero… Ma volevo tornare in collegio non troppo tardi».
Diana si alzò dallo sgabello: «In quale collegio stai?»
«Il “S. Caterina da Siena”».
«Ti andrebbe se ti accompagnassi?»
Le ciglia di Margherita diedero un guizzo: «Certamente!»
Allora, Diana pagò il conto, recuperò la giacca in cuoio e precedette la nuova amica verso la porta. Il segreto calore che avvertiva da un poco andava espandendosi sotto la sua pelle.

[Continua]


 Pubblicato sul quotidiano on line Uqbar Love (15 novembre 2016).

            

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