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Visualizzazione dei post da agosto, 2016

La nipote del diavolo - III, 8

Parte III: Colloqui 8. Finalmente, Nilde e Michele Ario erano l’uno di fronte all’altra – la katana stretta da ambedue le mani e puntata all’altezza degli occhi dell’avversario. Eppure, non c’era traccia di sudore, sulle loro fronti. Riuscivano a gustare la brezza primaverile che soffiava sui loro volti, talora, qualche petalo di ciliegio. La luna illuminava lo spiazzo in cui si trovavano. Irene Serra assisteva nell’ombra.             Le spade cominciarono un colloquio muto e argentino, disegnando archi nell’aria. Si interrogavano, si provocavano, si rispondevano, si abbracciavano e si discostavano, come corpi. Quella di Nilde descriveva sei anni di silenzio trascorsi per amore dell’incolumità di un altro, nella paura che non uscisse più vivo dalla casa dello zio. Descriveva l’orrore d’essersi ritrovata in una bara, con le membra che non le rispondevano e l’encefalo ottuso dalla nausea. Urlava il desiderio di formarsi una famiglia sua , con qualcuno che non fosse un

Confiteor

Tempo fa, ho composto un’ Apologia negativa , per riflettere su quali non fossero i motivi per cui avevo abbandonato il cattolicesimo. Per un’esigenza di chiarezza con me stessa e con coloro con cui mi relaziono, preferisco aggiungere - ora - dichiarazioni in positivo.              Ho trascorso circa due anni di precarietà in senso spirituale, cosa abbastanza ovvia per chi prenda sul serio questo ambito e non voglia fare affermazioni affrettate o false. Ma, alla fine, il processo ha raggiunto il proprio esito. All’inizio, la mia crisi religiosa sembrava legata alla mia appartenenza al mondo LGBT. Ma questo, per anni, non era stato sufficiente a scalfire la mia esperienza di fede. Avevo contattato il Progetto Gionata  e l’associazione "Il Guado" , due realtà ricche di stimoli in questo senso. Anche senza di queste, avrei comunque riposato sulla pace della mia coscienza, perché in nulla dei miei sentimenti o dei miei atti si potevano trovare morbosità o consumismo del pia

Volontà di potenza

Volontà di potenza. Un’espressione ormai demonizzata, perché comunemente collegata alla sopraffazione, alla quasi omonima “politica di potenza”, al disprezzo del più debole.             Solo pochi sanno coglierne un altro significato - forse, quello più vero. Sono coloro la cui anima è stata baciata dal Veleno Blu .   Passano la vita appesi a un crine di cavallo, come la spada di Damocle, sopra il baratro della depressione. Non è un male storico; non può essere ricondotto alla lotta di classe, allo sfaldamento delle ideologie, ai conflitti in corso. È nato con loro, solo con loro morirà. Per questo, guardano con distacco e ironia a ogni discorso ufficiale e alle categorie dei manuali di storia. Non è qualunquismo o ignoranza: è consapevolezza che non tutta la realtà può essere triturata e digerita da quel lessico. Il Veleno Blu, per esempio, non può. Non è nemmeno egoismo. Costoro hanno, spesso, passato la vita a occuparsi di qualche ideale, quale che fosse; a prodigarsi per i

La nipote del diavolo - III, 7

Parte III: Colloqui 7. I tre ragazzi oltrepassarono la chiesa romanica di S. Francesco Grande, rossastra sotto la piena luna primaverile, e si immisero in Corso Carlo Alberto. Amedeo si sforzava di sorridere agli amici; ma Ernesto e Alessandro sapevano che quella non sarebbe stata una serata come tutte le altre.             A loro, il giovane aveva detto che la sua ragazza doveva fare un’operazione rischiosa. Non avevano idea che si trattasse, piuttosto, di un duello  con spade giapponesi. Amedeo sorrise amaramente fra sé. Raccontandolo, sarebbe sembrato un film di Quentin Tarantino. Quando avevano programmato di uscire insieme come se niente fosse, Ernesto aveva studiato la faccia di Amedeo, con un fare tra l’inquisitorio e il preoccupato. «Guarda che non è mica obbligatorio, se non te la senti…» aveva avvertito. «No, no!» aveva scantonato lui. «Sarà meglio se non starò a pensarci su…»             Così, anche quella sera, i tre percorsero il pavé di Strada Nuova,

La Madonna della Neve

Entrando nella chiesa parrocchiale di Manerbio, fra gli altari laterali a sinistra, se ne può notare uno, impreziosito da un drappo in malachite e dalle sculture settecentesche eseguite da Alessandro e Luca Calegari. Tutto questo fa da cornice a un frammento di affresco quattrocentesco: una Vergine col Bambino, nota come “Madonna della Neve”.              La sua festa ricorre il 5 agosto, anniversario della dedicazione della basilica di Santa Maria Maggiore a Roma. Una leggenda vuole, per l’appunto, che il luogo fosse stato scelto perché sede di una nevicata miracolosa. La teologa e giornalista Petra van Cronenburg riconduce questo genere di leggenda alla continuità fra i luoghi di culto cristiani e quelli celtici: laddove, un tempo, erano venerate le dee della natura e della salute, si sarebbe innestato il culto della Vergine ( Madonne nere, Roma 2004, Edizioni Arkeios, pp. 83-87). Per l’appunto, ai miracoli e alle guarigioni è stata per secoli collegata quest’immagine della Mad

Il kung-fu non va in vacanza

Non è detto che, d’estate, tutto si debba interrompere. William Vitti, maestro di kung-fu, ha impiegato proprio questi mesi per avvicinare i bambini a un’affascinante disciplina, o per mantenere in allenamento quelli che già la praticavano. Questo è stato il Kung-Fu Camp 2016, a cura della scuola d’arti marziali Lushaolong, che opera a Manerbio e a Bagnolo Mella.              Dal 13 giugno al 29 luglio 2016, il Parco Paolo VI ha ospitato Vitti e i “suoi” bambini per tre mattine alla settimana (lunedì, mercoledì, venerdì). Il programma era piuttosto fisso. Esso prevedeva sempre giochi a tempo, per abituare i piccoli a ragionare velocemente. Detti giochi erano, perlopiù, percorsi a ostacoli, nei quali erano inseriti anche tecniche di kung-fu. I partecipanti che avevano già basi solide erano anche invitati a inventarne di nuove. Le loro creazioni venivano valutate in termini di verosimiglianza (ovviamente), ma anche in base a quanto stimolassero la reattività, l’equilibrio e la gest

La festa dove il SI suona

Dopo la Festa dell’Oratorio, prima che il mese fosse finito, se ne è tenuta un’altra: la Festa Democratica, organizzata dal PD di Manerbio. All’Area feste di via Duca d’Aosta, si sono succedute quattro serate, dal 21 al 24 luglio 2016. Il programma prevedeva cibo e musica: torta fritta al giovedì, spiedo con polenta e patatine i due giorni seguenti, porchetta alla domenica e i consueti piatti delle sagre (casoncelli, salsicce, taglieri di salumi e formaggi, tagliata di manzo). I bambini erano intrattenuti dai giochi gonfiabili; un paio di bancarelle proponevano crêpes o articoli di hobbistica. In evidenza, non solo il simbolo del PD, ma anche il tricolore italiano.              Per quanto riguarda la musica, la prima sera è stata dedicata al piano bar. La seconda ha visto sul palco Dellino Farmer e il suo inconfondibile “rap en dialèt”, modo di piegare la globalizzazione alle tradizioni locali. Accompagnato dallo “Staff mai stöff”, ha cantato la “campagna/compagna”, i “30 piò” che s

Un tesoretto celtico

Tra il 2006 e il 2007, a Manerbio, l’attenzione dei cittadini fu in buona parte occupata dalle “fàlere”. Si trattava di finimenti in argento per cavalli, ritrovati nel 1928 presso la cascina Remondina. Il termine deriva dalla parola greca “phàlara”, ovvero “borchia”. Questi oggetti, infatti, sono in lamina metallica e di forma rotonda. Quelle di cui stiamo parlando sono un prodotto artigianale antico e pregiato, ma che non fu presentato a Manerbio – località di ritrovamento – prima del 2006.              I carabinieri che, nel 1928, consegnarono le fàlere al direttore dei Musei di Brescia, le descrissero come “piccoli piatti”. Erano state rinvenute da Faustino Cominelli e Domenico Petrali, contadini al servizio del nobile Federico Gorno, mentre ampliavano la buca del letame. All’epoca, furono credute di epoca longobarda. Carlo Albizzati, nel 1933, le definì invece come celtiche. La Pianura Padana, per l’appunto, fu abitata dalla popolazione celtica dei Galli Cenomani dall’inizio

Bernie Sanders, l’Europa e la democrazia secondo l’Associazione Brainstorm

Bernie Sanders (New York, 1941) - prevedibilmente - non sarà il prossimo presidente degli Stati Uniti, ma non smette di far parlare di sé. In Italia, è appena uscita la raccolta dei suoi discorsi elettorali: “Quando è troppo è troppo! Contro Wall Street, per cambiare l’America”, a cura di Rosa Fioravante (Castelvecchi Editore).              L’associazione culturale “Brainstorm” ha dedicato al volume la serata dell’11 luglio 2016, presso il ristorante manerbiese “La Veranda - Tigelle e Crescentine”, di via S. Faustino. Con la moderazione di Marco Peli, hanno parlato la curatrice Rosa Fioravante e Roberto Rossini, presidente nazionale delle ACLI.             La Fioravante ha tratteggiato un profilo di Sanders. Figlio di un immigrato ebreo polacco che sfuggì al nazismo, «ha incarnato il sogno americano non attraverso la solita competizione sfrenata, ma grazie alla credibilità politica». Rosa ha ricordato la sua lunga militanza sia a favore dei diritti civili che di quelli sociali;

La nipote del diavolo - III, 6

Parte III: Colloqui 6. I fari disegnavano la strada, mentre l’auto s’arrampicava sulle colline dell’Oltrepò. Nilde rimaneva rigida sui sedili posteriori, a fianco dello zio. Entrambi, sul tavolo della biblioteca di casa, avevano lasciato una lettera in cui annunciavano il proprio allontanamento volontario e l’intenzione di non tornare fra i viventi. Il vincitore del duello avrebbe distrutto la propria e conservato l’altra.             «Io ho anche fatto testamento» le aveva precisato Michele Ario. «Inutile dire che tu saresti l’unica erede». Aveva aggiunto, con un triste sorriso non del tutto falso: «So che ci tenevi a seppellirmi nella nostra tomba di famiglia… ma, per maggiore discrezione, sarà meglio non tornare a Pavia per le esequie. Intorno alla seconda casa della signorina Serra, nell’Oltrepò… ci sono splendidi ciliegi. Ciascuno di noi due potrebbe riposare magnificamente, sotto uno di essi».             Ora, entrambi i duellanti rimanevano impassibili sul mez

A occhi aperti nella morte

“Non essendoci più gli dei, e non essendoci ancora Cristo, c’è stato, da Cicerone a Marco Aurelio, un momento unico in cui è esistito solo l’uomo.” Da questa citazione di Gustave Flaubert scaturì una scintilla preziosissima per Marguerite Yourcenar (Bruxelles, 1903 – Mount Desert, 1987).  Mente brillante, educata da un padre singolarmente preoccupato della sua istruzione, visse da viaggiatrice e fu la prima donna a far parte dell’Académie française (1980). Alla propria straordinaria cultura, univa l’irrequietudine sentimentale ed esistenziale. Attratta dalla vita notturna, amava sedurre. Ebbe diverse relazioni con donne, fra cui la greca Lucy Kyriakos. La compagna di vita fu però la statunitense Grace Frick, che tradusse in inglese i romanzi della Yourcenar. Al nome di Marguerite sono legati anche i nomi di tre uomini omosessuali, di cui lei si innamorò (non corrisposta): il suo editore, l’altero André Fraigneau; il poeta surrealista e psicanalista Andreas Embirikos; lo studente

La nipote del diavolo - III.5

Parte III: Colloqui 5. Flashback Nel vano della porta, si profilò un’elegante silhouette di signora. Le sue chiome, d’un acceso castano-rossiccio, ricadevano come grappoli sul soprabito color panna. Gli occhi celesti brillavano d’una quieta dolcezza – inquinata da una misteriosa angoscia.             «Ciao, Virginia!» la accolse il dottor Michele Ario. I due cognati si scambiarono un bacio sulle guance e la donna entrò nello studio dello psicologo. Si sfilò il soprabito per appenderlo all’attaccapanni, rivelando un vaporoso e scollato abito a disegni di rose rosse. I suoi tacchi misurarono l’inquietudine sul pavimento della stanza.             «Mi dispiace d’importunarti tanto spesso, Michele…» mormorò lei, con la voce nasale incrinata dallo scrupolo. «Non dirlo nemmeno per sogno, Virginia!» la consolò lui, con un che di dolce e bramoso nel suo tono sicuro. «Questo è il mio mestiere. E tu sei la moglie di mio fratello… Quindi, il mio dovere verso di te è doppio. Di

La realtà

“Oh, fine pratico della mia poesia! Per esso non so vincere l’ingenuità che mi toglie prestigio, per esso la mia lingua si crepa nell’ansietà che io devo soffocare parlando. Cerco, nel mio cuore, solo ciò che ha! A questo mi son ridotto: quando scrivo poesia è per difendermi e lottare, compromettendomi, rinunciando a ogni antica mia dignità: appare, così, indifeso quel mio cuore elegiaco di cui ho vergogna, e stanca e vitale riflette la mia lingua una fantasia di figlio che non sarà mai padre… […] Non lo nascondo, se nulla ho mai nascosto: l’amore, non represso, che mi invade, l’amore di mia madre, non dà posto a ipocrisia e viltà! Né ho ragione per essere diverso, non conosco il vostro Dio, io sono ateo: prigione solo del mio amore, per il resto libero, in ogni mio giudizio, ogni mia passione. Io sono un uomo libero! Candido cibo della libertà è il pianto: ebbene piangerò. È il prezzo del mio «libito far licito»,