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Rispetto, rispetto...

“Porta rispetto”. Oppure, “Devi provare sulla tua pelle”. Due tormentoni tipici di chi, ovviamente, non si sogna di praticarne il contenuto. 

            Il primo tipo umano a cui appartengono è perennemente inviperito, magari anche a ragione, ed è in grado di impiegare il linguaggio umano sostanzialmente per una cosa: sfogare le pulsioni di pancia. Perché “ha vissuto, ha esperienza, sa cosa vuol dire questo e quello”. Gli altri, evidentemente, sono tutti cretini o ectoplasmi. Afferma che “non odia nessuno”, ma si effonde in espressioni scandalizzate o mima il vomito, ogni volta che tratta di negri, froci, giudei e travoni. Ovviamente, si stupisce pure, se subisce censure quando si esprime pubblicamente in cotal modo. Perché solo a lui è consentito offendersi e reagire. Magari, ha pure studiato o viaggiato molto. Ma - data la sua ribadita chiusura mentale - vien voglia di chiedere a cosa sia servito. Quando si cerca di impostare un discorso da essere senziente sulle sue sacre convinzioni, risponde che “a mancar di rispetto sono altri” o che “devi provare sulla tua pelle”. Come se non lo stessi già facendo.
           
Il secondo è la variante odierna della dama di carità. Non frequenta le parrocchie, che iniziano ad essere fuori moda. Molto meglio i circoli di sinistra o quelli LGBT. In pubblico, si riempie la bocca dei diritti delle donne, dei carcerati, delle minoranze sessuali. In privato - ovvero, nei fatti - semina zizzania a tutto spiano, fa passare le amiche da zoccole e le vecchie fiamme da deficienti. A causa di quest’ottimo tipo umano, persone migliori di lui fanno la figura d’incoerenti e di moralmente ambigui. Anche perché, negli ambienti che egli frequenta, la regola del “rispetto” e del “non giudicare” vale solo quando fa comodo… un po’ come avviene ovunque. Se qualcuno gli rimprovera la sua condotta, si meraviglia delle sue “seghe mentali”. E aggiunge pure che “non è tagliato per fare il missionario”, o si vanta della propria abilità nel far fare alle persone ciò che preferisce. Anche solo per divertimento.
            Un’altra variante della “dama di carità” è quella che imposta manfrine interminabili per difendere la condotta di personaggi prestigiosi (e indifendibili), considerati icone politiche. Come se avessero bisogno di avvocati. Naturalmente, è altrettanto pronta a negare l’esistenza di problemi socioeconomici reali. Perché ricordare che, nel Terzo Mondo, esistono povertà e sfruttamento è razzismo. Dire che difendere un privilegiato non ha senso e che bisognerebbe occuparsi di chi ha davvero problemi causa risposte come: le possibilità economiche di qualcuno non offendono mica gli altri, no? Se la si contesta, ha uscite deliziose quali: Ma non diciamo cagate! (È la sua nozione di rispetto). 
            Se c’è un vantaggio nell’aver assaggiato il rapporto con tutti e due (o tre) i tipi umani, è questo: la perdita delle illusioni. Non esistono “ambienti protetti”. Esiste solo quel manicomio a cielo aperto che è la Terra e bisogna avvezzarsi a farsi scivolare addosso ogni cosa, se non si vuol seguire a ruota la pazzia altrui.

            A questo punto, so benissimo che salterà fuori il Tizio di turno e mi dirà che “sto generalizzando”. Sì, sto facendo esattamente questo. Perché a generalizzare si fa male, ma spesso ci si indovina. Cos’è, poi, una “generalizzazione”? La descrizione nero su bianco di esperienze ripetute. E, se qualcuno mi inviterà per l’ennesima volta a “portare rispetto”, gli risponderò nel modo canonico: devi provare sulla tua pelle. 

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