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Vincenzo Calò intervista Sandra Romanelli

Sandra Romanelli… 


Sandra Romanelli nasce nel 1972 a Faicchio, nella provincia di Benevento.

Nel 1991, dopo aver conseguito la maturità linguistica, si trasferisce a Roma dove conseguirà la laurea in psicologia.

Nel 2002 ritorna al suo paese di origine.

L’incontro col buddhismo, il suo spirito di ricerca, oltre all’amore per la psicologia, motiveranno l’autrice così tanto da voler rispolverare l’antica passione per la scrittura, alternandola con la lettura, per portare a termine il suo libro, “La stanza con l’oblò”.

Benvenuta Sandra. Darsi da fare… cosa significa di questi tempi?
Significa tirare fuori il meglio di se stessi, avere la faccia tosta di parlare con chiunque, anche con chi si crede superiore, il quale non ha capito che nessuno è migliore o peggiore di un altro anzi… forse il peggiore individuo è proprio colui che non vede l’altro come suo simile. Di questi tempi si è persa l’umanità, e darsi da fare per me è fare il possibile e l’impossibile affinché possa sentire di aver fatto del mio meglio non solo per me, ma per gli altri. Quindi, in sintesi, significa creare valore.

Un talent show dedicato agli scrittori emergenti: roba buona?
Sì, roba buona. Uno scrittore emergente fatica a emergere appunto… il problema è che saper scrivere non basta, ci vuole cuore, sentimento. Percepire i suoni del mondo e riuscire a trasmetterli al lettore non è meno importante della forma. Se ne leggono tanti di libri di autori noti, con un editing perfetto, ma che non lasciano nulla alla fine della lettura; semmai arrivi a terminare il libro. Io molti li ho lasciati letteralmente in cantina. Il talento è fatto di molti aspetti, e quindi anche di un talent show che li consideri tutti… sì, ci sto.

La trama di un romanzo è come la brutta bestia da rendere mansueta?
Penso che le brutte bestie vanno in qualche modo attraversate o descritte in questo caso per poi diventare mansuete naturalmente, senza forzature; per evitare, tra l’altro, che l’inespressività ne blocchi l’evoluzione addolcita, diciamo… o peggio, di avere l’effetto contrario, cioè che ci si imbestialisca ancora di più.

I personaggi nel tuo caso cosa si scambiano solitamente?
Si scambiano… i vestiti? Chi è empatico sa indossare i vestiti di un altro, e questo serve non solo a raccontare una storia non tua, ma anche a sviluppare compassione che nella vita ci vuole per stare bene con gli altri. Nella “stanza con l’oblò” io mi spoglio dei vestiti; li prenderà il lettore che, a sua volta, si metterà a nudo, e così altri lettori… e si formerà una catena che, a dispetto del termine, libera unendo. Il bello dei libri è che trasmettono emozioni che uniscono, come essere parte di una famiglia. Leggendo vivi la vita di un altro, ti identifichi, e ritrovi anche la tua.

Ma mischiando i generi letterari si accontentano tutti i lettori davvero?
Non credo. Ognuno ha i suoi gusti ben definiti, chiari. Ritrovare in un testo tutti i generi è un po’ come mangiare in una ciotola che contiene primo, secondo, contorno, frutta e dolce mischiati insieme: al dir poco disgustoso.

Guadagni abbastanza come scrittrice per…?
Il mio libro è uscito da poco e il guadagno è certamente non economico ma personale, interiore, che non è cosa da poco. I soldi sono importanti per vivere ma di certo non fanno la felicità. Vivere in semplicità ma sentirsi ricchi dentro è molto meglio del contrario, almeno per me.

Invece cosa ti piace avere attorno mentre una tua opera è ancora inedita?
Tutto ciò che ho attorno anche quando la mia opera è edita: le mie abitudini, la natura, gli affetti, gli amici, i libri e le riviste, la musica, la mia pratica buddhista… la mia vita, ecco.

Non credi che le sale riservate siano piene di gente?
Quando si vuole essere presenti si prenota per paura di perdersi il posto. Però potrebbero ingrandire le sale e soprattutto riservarle a tutti.

Interrogativi ed esclamazioni fanno ancora l’amore come se nulla fosse?
Perché mai impedirlo!? Si somigliano, dunque si pigliano (?)… ahahaha! Credo che il punto interrogativo sia donna per le sue curve sinuose, e perché rispecchia un po’ noi che siamo alla continua ricerca di risposte. Le esclamazioni, intanto, sanno più di uomo… quello deciso e determinato ovviamente.

Perché peccare per molti è divertente?
Peccare è un termine che non uso quasi mai. Ciò che diverte e fa bene non è peccare ma volersi bene. Peccato è sciupare l’esistenza e, dunque, privarci di ciò che desideriamo e/o siamo. Nessuno può punirci. Se “pecchiamo” avremo un effetto nella nostra vita di tale azione. Per molti quindi è divertente proprio perché è un’evasione da regole imposte, e, ancor meglio, a cui hanno aderito, purtroppo. La vita, invece, è divertente se la viviamo per come siamo e desideriamo.

Non si stanca mai d’influenzare…?
Non bisognerebbe mai stancarsi di non farsi influenzare, perché è indispensabile guardarsi dentro, lottare per i propri sogni e valori e, soprattutto, farsi influenzare solo dalla bellezza delle cose, tutte.

… La stanza con l’oblò (Edizioni Epsil)

I lettori avranno a che fare con uno scritto fluido, privo di romanzesche pretese; dunque con una confessione intimistica composta da frammenti d’universo, come a vagare pazientemente in un unico personaggio purché non lo si ostenti; ovvero prepotentemente in un atto di fede, in un velo di silenzio.

Quella frenesia nel prendere appunti, in vari modi, sulla propria condizione umana, si lascia avvertire in tutte le minuscole parti di una fisicità pervasa da una forza sconsiderata, come a dover sopportare, in particolare, la digestione di un fatto squisitamente passionale.

E’ sensazionale dacché sincera la constatazione dell’esclusiva presenza di una persona esterna, capace di azionare un intero moto d’odio verso l’importanza di significare qualcosa a un certo punto della vita, col tempo da trascorrere lungi dalla benché minima competizione.

L’essenza emotiva dell’autrice richiede con insistenza del virtuosismo, precedentemente colto appieno, a costo di andare oltre la reperibilità dei comuni intenti per riattivarlo.

Smettere di assonnarsi vigilando attorno a sé è il nuovo imperativo da centrare per non risultare inesistenti quando c’è da incidere concretamente.

La predilezione nei riguardi dell’arte figurativa prevale su delle pareti a nudo, e hai a che vedere con della purezza che rifiorisce, perché puoi avere a che fare con della positività affogata nell’eternità, acquisita all’improvviso come se attratti da un lampo di quiete, da un’autentica forma di memoria.

Purezza che si complica da sola, evidenziando maggiormente l’incontaminato, che splende per invito lunare.

Una brezza allietante al decadere del giorno, quando il caldo detta legge, si propaga senza trarre in inganno la gentilezza e l’eleganza che traspaiono nella buona educazione caratterizzante l’incameramento di un tesoro appartenente a un’innocua ricercatrice della sintesi, che semmai tiene a bada intrugli ottenuti istantaneamente da un entusiasmo inspiegabile, che si scatena per incanto, spontaneamente, data quella cara autostima da respirare.

La possibilità di guarire senza essere aiutati, sempre, purché volontariamente e non arrecando alcun torto a chi cerca di affezionarsi a te, si riferisce dunque a una ripercussione personale, fraintendibile se rapportata all’immagine prestata, magari deprimente; a un’anima di cui ti bagni se resti a contatto con una donna come Sandra Romanelli quotidianamente.

Il suo passo non è deciso, l’approccio visivo è da calibrare, nonostante le rughe, sul solito volto, dovute da fredde correnti, da coprire compiendo un normale gesto ma dopo aver toccato un po’ di tutto per vedersi bella, liberamente in giro, religiosa giustappunto per quella spinta a riemergere, che senti subito dopo la lotta contro un malessere, un distacco, un disuso del corpo che s’indebolisce motivando qualsiasi angoscia.

Eppure l’oggetto che si guasta aspetta d’essere ricomposto semplicemente, così come s’è difettato, sistemandolo con soluzioni mutabili per un’efficienza maggiore.

L’autrice lamentava cenni di una e più costrizioni illuminanti al massimo della progenie ma non lei per principio, per dare chissà quale esempio; inoltre le dinamiche e le valenze della cattiva sorte non suggestionano poiché l’elemento in assoluto non si disintegra… magari le seconde possono influenzare, a seconda del ruolo che ricopri, sconvolgendo la morale dell’individuo…!

Pertanto, il desiderio di non ritenersi mai un automa le scioglie quesiti sulla vulnerabilità attuale e futura, con la mente ch’elabora considerazioni demodé fervidamente, da non ostacolare in determinate circostanze proponendo di cambiare aria per futilità o sentimento di comodo, perché provocheresti danni incalcolabili per te oltre che per lei che ha bisogno del suo tempo, di escludersi in buona fede per diventare grande a ogni intento invece che a ogni costo!

Sandra confessa amabilmente di riuscire a comunicare con gli esseri viventi ma soprattutto con gli strumenti che abbiamo in dotazione, che assorbono senza farci caso la nostra energia; per identificarsi come non mai, ricominciando ad auscultare la creatività che ci riserviamo.

Si ha a che fare con la ricostituzione dell’anima prima che del corpo, adoperando delle conoscenze, ovvero che per tornare in forma è obbligatorio appartenere a se stessi compiendo atti del tutto spontanei, ossia dipendenti dal carattere che si ha, tipo addentrarsi nella fede in cui ci si riconosce, che per Sandra è il buddhismo Mahayana, nello specifico il Nichiren Daishonin; per mezzo di un netto scompenso dei sensi, quando all’improvviso, privi di difese, ci si approccia con l’individuo in grado di stravolgere il nostro cammino, a riprova che non esiste la casualità, inculcato il riverbero dei fermenti passati, nel merito delle tentazioni che vanno aldilà specialmente dei sapori comunque da scandagliare, di modo ché inglobiamo la presenza assidua della psiche aggregante.

Con l’approfondimento immateriale l’autrice stabilisce definitivamente un insieme di significati per armonizzare e rendersi indispensabile sorprendentemente, perché con la brillantezza di una e più curiosità infondiamo incanto.

Sandra s’impegna ogni volta a identificare degli oggetti per l’importanza di ciò che si fa, sfidando l’irraggiungibile all’inizio di una nuova giornata, che causa sbalzi di temperatura irriguardosi all’estensione di determinati momenti, dovendo piuttosto concepire che qualsiasi avvenimento si realizza in un tempo giusto e opportuno per carpirne il messaggio divino.

La Romanelli ci raccomanda di aggraziare l’idea che l’Altrove, composto dal nostro entusiasmo, c’inviti costantemente a non disattendere il motivo del malumore, e ci sostenga affinché quest’ultimo muti in buonumore.

Come a rafforzare un capriccio infantile qual era schiarire la comunicazione con gli eventi a tiro, il fatto di valere, che ci può offuscare inducendo a raccogliere, riunire diversi arnesi, reperti e fogliettini per fermare il Pensiero trascrivendolo; roba più che attuale per lei, trattenendo flashback carichi di storie, affermazioni e sembianze che l’hanno attratta una volta prese singolarmente, ingenuamente, come a stringere in pugno la natura terrena godendone il possesso, disdegnando gli artifizi tipici della tenera età, distruggendoli anzi per inventarne di più originali, per un’utilità che faccia sensazione e compiacimento.

L’uguaglianza sta nella riflessione senza tempo su cui ci si concentra spostandosi in solitudine apparentemente, carichi di un’anima che non ce la beviamo.

La consapevolezza d’essere minuscoli ma dignitosi si rispecchiava nel linguaggio d’ampliare per spiegare e sintetizzare al meglio quanto miriamo; l’autrice perciò da ragazzina si prolungava negli studi scolastici distaccandosi dai coetanei, per spiccare nel rendimento ma poi forte di quella sana agiatezza nell’interpretare i fenomeni che la circondano largamente.

Il Pensiero quindi rimbomba sempre nella sua testa, illuminandole le aperture alla vita, dopo aver compreso concetti celati e variegati, o solamente l’alternativa alla noia, per rinnovare la consuetudine; alla maniera di un distensivo da far coniugare all’infinito, per riprendersi magari da una sfiancante occupazione che ti permette al massimo di sopravvivere, che non ti fa vedere cosa ci sia intorno davvero, senza riuscire a intuire il proprio contributo oramai vagante.

La funzionalità dei privati intendimenti si propaga tramite l’attenzione e la voglia d’indipendenza spiazzanti il generico divenire, seppur colorato e accattivante; energizzando un moto d’essere nei gesti compiuti, depurando per non conformarsi alla banalità.

L’espressione della verità del tutto personale rende pur dovendo pazientare, e non si hanno così condanne da temere, bensì l’integrità fisica, al massimo degli scopi.

A scanso di quell’umanità che non accetta di passare il testimone, come vanitosamente succede in Europa e in America; non volendo sapere che il timore d’incenerirsi, di dimenticarsi (che Sandra combatte con pudore) incentiva l’attività dell’oggi per il bene del domani.

Qualsiasi fatto accade dacché utile per maturare ed entusiasmarsi, e ogni volta l’attesa significa poter riuscire a trovare l’eccezionalità.

Si agisce per desiderare principalmente la propria essenza, mutando le negatività, inquinanti, in stimoli per rigenerarsi senza infestare.

Se di solito ci dedichiamo con parsimonia al lato estetico, allora bisognerebbe comportarsi ugualmente coi sentimenti, di una ragionevolezza delicata, influenzata da conoscenze sempre meno condivisibili, nel tempo di un respiro che non è mai abbastanza, che batte deliziosamente nella morale da tutelare con trasparenza, nell’importanza di dissetare terre che soffrono la siccità che causiamo interiormente, per poi morire stupidamente, inconsapevolmente.

L’universo si racchiude nell’individuo che caratterizziamo, ma involontariamente ci distacchiamo, ci oscuriamo, perché ci annoiamo a percorrere la strada che s’illumina solo grazie a della sana intraprendenza.

L’autrice, che inizialmente come chiunque altro temeva di annegare nell’anima aperta, grazie alla voglia di varcare il limite materiale riesce a galleggiare per alleggerire i problemi quotidiani, sapendo che questi sono conseguenza del nostro tratto istintivo.

Il benessere, e il suo contrario, è opera nostra, di un destino che si forma a forza d’indebolirci non prendendo delle responsabilità.

Intendendo quest’ottica delle appartenenze, verrà meno la rabbia che serbiamo nei riguardi di coloro che reputiamo come nemici in blocco, che sembrano godere della nostra disperazione.

Per Sandra non ha senso, ed è addirittura deleterio provare a manomettere l’autenticità della nostra condizione, invitare a contraddirci; a fronte di un aldilà che cela contatti densi e a perdita d’occhio.

Al momento di abbandonarci occorre scrutare i dettagli di un dato ambiente per ripristinare il criterio generale, indispensabile per l’orientamento al fine di svoltare, senza che s’implori, pigramente, passivamente, la mano di un percettore.

Prima di tutto serve fare un lungo respiro per reggere di ciascun episodio vitale la forma emblematica, radicalizzante, che grava sulle apparenze.

L’accrescimento dell’autostima per incidere e significare comporta la riscoperta delle disponibilità sradicate, e permette alle persone di essere a corrente delle proprie capacità, raggiungendo un traguardo notevole e ambito per quel presentimento di aver contribuito al moto delle cose facendo la loro parte.

Dove dimora l’autrice permane un disordine di sole annotazioni, di una brevità letteraria inconcepibile per i non appassionati, rilegabili col tempo che avanza, sordo; con parenti, amici e conoscenti a dover curiosamente accondiscendere, risucchiati da un’intima motivazione ancora tutta da prefiggere.

Come a dare razionalmente sfogo alla Felicità, ed elevarsi a contemplare pienamente un paesaggio di montagna magari, dai particolari che sembrano irrilevanti, ma che forniscono spensieratezza; fuori dalla conduzione di un mezzo di trasporto soffocante e avvelenante, che riduce senza ammettere repliche la forza di volontà.

Piuttosto l’animosità si rinfranca per espandersi lucidamente, e poter dirigersi liberamente, senz’alcun assillo (s)naturalizzante, procedurale, verso un posto scorto da lontano, più che accessibile.

Una sottospecie di emicrania acconsentiva a Sandra di addormentarsi sì, ma in modo pericolante, come se sulla situazione specificata scrivendo questo libro; in effetti non c’era quasi modo di centrare il nervosismo, forse perché la ragione, in procinto di sterilizzarsi, nuoceva vagando nel resto del corpo; tanto da dover muoversi per decidere d’interpretare nettamente un atto religioso, nell’assenza dei rumori, solleticata dalla tentazione di accarezzare l’alba con lo sguardo, per uno stato di quiete dimenticato troppo presto, per sua umanità.

Facciamo affiancare due vie, rigare dritto due sentimenti fino a che ne prevalga uno per un vissuto da dimostrare, decidendo d’impatto pressoché, per crescere, relegando quasi sempre la riconoscenza al tardi, come a trattenere la memoria per come si era piccoli e poi protèsi alle prime volte che appaiono belle per quanto complicate da giostrare.

Nel dispiacere generato dalla fine di un amore si può riprendere a sorpresa a coltivare amicizie, senza trasgredire i nostri isolamenti, risvegliandoci interiormente per trarre ulteriore luce.

Sandra intuisce dapprima l’avvicinarsi delle persone, più che abile nell’immaginarne la concretezza non volendo ragionare con dei semplici figuranti, per rasserenarsi nell’altrui desiderio, di darle una mano mentre è affaccendata, che traspare da un timido “ciao”.

Il ringraziamento è d’obbligo, e prefigurandolo si schiudono dolceamare pretese che non si può smettere d’intendere brevemente, meravigliosamente, per riunirle col dialogo cullato in silenzio, lentamente, e segnare l’eccezione da sviluppare da soli come in compagnia, senza quella necessità di spettegolare reciprocamente, furiosamente.

La sensazione di avere a che fare con una persona cara che ti tutela come una mamma, con efficacia, si delinea all’infinito, per credere sempre nel bene individuale.

E lei sapeva che ciò sarebbe accaduto, assorbendo un’opera cinematografica rinfrancante anzitempo, sulla vita di un mito della musica, Tina Turner, sofferente in fondo.

Le perdite d’icone soprattutto hanno attanagliato l’autrice che comunque è conscia di come l’essere vivente spesso reagisce crudelmente a fronte della vista dei suoi cuccioli quando questi sono incapaci di guarire, ovvero allontanandosi; un qualcosa d’invitante, che addirittura in conclusione rifocilla la dignità, poiché nella constatazione dell’incurabile attenui il male; nonostante ci si debba vergognare di primo acchito, ma effettivamente ci son dei limiti che ti schiariscono le opportunità tra l’agio e la sregolatezza!

Eppure la bestiola che Sandra accudiva penava, si rifiutava di nutrirsi; ma è proprio quell’evitare di osservarla in certe condizioni che rende disumani a priori, dovendo abbassarci ad accettare un destino come tanti per non disperderci nel nostro, come il metallo che si lascia prendere dal magnete.

Riottenendo dunque un’anima per tornare alla propria, al tempo frammentario di come ne rimaneva incantata, alla riprova delle gratuite passioni; nella possibilità di smarrire o guastare oggetti così personali da tralasciarli, come nella speranza di conservare storie vaganti, due accezioni da riporre nei bambini, che non vedono l’ora di pasticciare, danneggiando inconsapevolmente, a forza di vivere un miscuglio di pensieri non ancora in vendita, i punti d’approdo per il confronto.

E la memoria rimanda brillantemente all’impegno visibile ed emozionante della figlia nel sentire l’apprensione della madre che ci tiene come pochi a preservarsi civilmente per reputarci tutti uguali nelle difficoltà, una lezione che si è voluta imparare per risiedere nello stesso posto, per un piacere inflessibile dacché alto e spontaneo, specie quando ci entrano gli estranei.

L’autrice risplende di determinati colori che sbocciano all’inizio di una qualsiasi giornata, di una luce solenne, che regola meccanicamente la situazione d’affrontare, tanto d’acquisirne la forza al tramonto, per scandirsi e stazionare in ogni lato emotivo.

Sandra uscì all’aperto, con le sue riflessioni più intime nuovamente raccolte, tenute appresso carinamente; e bloccata come non mai dalla salute che sentiva incepparsi, perdurava a leggere ciò che aveva trascritto non dando adito a chissà quale presagio di sventura, legando le tematiche musicali con versi e descrizioni emotive, messe a nudo, ancora al presente.

Per non cambiare, sfoderando della trasparenza per esteso anche se talvolta lei è costretta a celare il suo pianeta essendo lontano dalla realtà, desiderando d’essere autrice di brani melodiosi quando splende la sera, per farli ascoltare a chi è prossimo alla depressione, raggiungendo l’individuo con la fortuna di esprimersi; senza che nessuno le impedisca d’ingrandire le aspirazioni necessariamente seppur impossibili da spiegarle con la poesia, dalla forma incancellabile ma di una sostanza da rilanciare per risvegliare l’anima.

I molti compiti da svolgere in seno alla religione buddhista tra le cose di tutti i giorni ribadiscono il concetto di base, che questa fede si rispecchia nella normalità, come una soluzione balsamica che aderendo alla pelle libera il piacere di volersi bene disintegrando gli oggetti che ledono l’aspetto fisico; nonostante il timore di dimenticare la fantastica dimensione contenuta, ma percependo d’avere a portata di mano l’esistenza, inclusi gl’intralci e gl’impedimenti nascosti in un’abitazione.

Una guida autonoma lungo percorsi che nel frattempo si delineano, nel povero sfolgorio degli astri, alla faccia dei propri diavoli, che rigidi e grezzi sanciscono confini più che certi per evitare di addentrarsi nelle immagini, e rimanere dunque preda delle angosce, di ricordi sterili dacché viene meno la sollecitudine per quel minimo di creatività.

La ragione la rimanda incessantemente ma con fare sincero a ciò ch’è utile per rimanere in forma, inquadrando tanti soggetti, logici ma anche patetici; a una fonte di alternative, per sviluppi effettivi da trarre incamerando effluvi, indizi, memorie e fragilità varie.

Un totale ottenuto non per caso, a scuoterle della sfocata rilevanza, riconducibile magari a un caro, vecchio affetto con cui ci s’intende per sempre a meraviglia, quando ci son da confidare osservazioni e opinioni inaccessibili, per un riscontro tutto da cullare, nell’arsura di un ambiente privo di riferimenti, consistente comunque, come nella solitudine d’appurare con la terra che pretende il suo tempo per far contento il contadino.

L’autrice doveva rientrare, nella giusta carreggiata, con le sue forze derivanti da errori ch’è sacrosanto commettere, per un incanto di virtù d’autenticare, per non ingannare più comunicando qualcosa di speciale.

Il mezzo per comporre appare insignificante, eppure ricordando in un niente la persona che te l’ha donato felicemente t’illumini di ottimismo, t’intensifichi in uno scatto di genialità, di ribellione, che ti allontana da un pericolo di vita qualunque, scardinando così chiusure semiautomatiche, artificiali, per un senso di trasporto, per andare oltre.

Col pensiero irriducibile per interpretare i fatti, senza badare al resto sancito dagli sprechi e dalle noncuranze dell’oggi, con la pigrizia che appesantisce la fredda stagione, quando piuttosto devi porre le basi per il domani, per il tempo da giostrare nello spazio che ti devi riservare.

Il buon esito dipende appunto da un’opera originale, fatta capacitandosi minuziosamente per distinguersi attivamente, specie dal male che si forma piano, non assumendo importanza, non determinando novità, per conto proprio.

Senza contare che tante donne sentono in generale come il raggiungimento del quarantesimo anno d’età comporti il pensiero di avere maturato qualcosa di fondamentale in concreto, per principio rivelante.

L’intensità della vita le forma definitivamente di sovente per un’ampiezza di significati entusiasmanti, e nel caso non venisse riprodotta effettivamente, essa stessa può disintegrarle privando della poesia.

L’autrice col passare degli anni aveva scavalcato le preclusioni, il presentimento di fare parte di un periodo storico irriguardoso, cioè di un luogo che non le s’addiceva a tal punto da ritenersi totalmente inefficace, come se incapace di assumersi degli errori; apprendendo a commiserarsi per affrontare delle difficoltà e incitare così la sua condizione massimale oltre che a inorgoglirsi a seguito di chissà quale fortuna.

Tale comportamento abbracciava il resto delle umane conoscenze, lasciando fare senza sentenziare, per scansare un malessere incontrastato dacché equivoco, tanto minaccioso da radicarsi piano senza dare adito a preoccupazioni reali ed evidenti.

La buona sorte è fatta di un’immediatezza di comprendonio, di allusioni scoccanti dal didentro, di un sé che informa lucidamente su come operare successivamente.

Ma in ragione di un imperativo qual era procrastinare il panico quando s’immagina di smarrire una specifica rimembranza, imprescindibile seppur negativa probabilmente, per gustarsela sempre e accreditarsi di un’esistenza al minimo contatto, per realizzarsi appieno.

Da piccola a Sandra stavano antipatici i pupazzi che andavano di moda, così inespressivi e di una figura lungi dall’abbondanza come dall’umiltà, dando l’idea di annegare nell’ego, con la leggerezza di fondare il tutto sull’estetica tralasciando l’intelletto… perciò rimanevano accantonate nel buio di un dono qualunque.

Viceversa erano cosa gradita le matrioske, essendo di un materiale grezzo e che riconducevano alla sorpresa del Sé, come a suscitare aggregazione, positivamente sia per gli ascendenti che per i discendenti, per poterli ricordare ben presto, e riprendere il bisogno di sentire il fiato materno, dolcemente ereditario, in virtù di quello stesso fare da intraprendere prima o poi.

Anche lei si domandò, magari fantasticando, perfino se stesse soffrendo l’assenza di una sorella, per dire in cuor proprio poi di rasserenarsi, che il chiarimento si esaudirà, fermo restando che la soluzione non sia a portata di coscienza.

C’era unicamente da comprendere il motivo silente, scatenante una forma di depressione, con dinanzi un muro per specchiarsi insolitamente, in un’anima rinfrescante; e il piacere di proseguire nel corso della vita, distinguendosi caratterialmente dalle sue simili, del suo stesso sangue, nonostante l’affetto non si esaurisca mai e la compagnia permanga comodante, ma senza che si traggano in inganno delle innocenti passioni per accontentare gli altri esclusivamente.

Seppur facesse freddo ancora, la nuova stagione era comunque prossima, bastava volgere lo sguardo all’insù per scrutare il maltempo con le sue scariche elettriche, con la fragilità di concepire all’istante che le cose passano, spicciola data l’alternativa che consiste prontamente nell’emozione di scordarsi.

Il cenno d’intesa, di una cara solitudine, dovuto dalla memoria di una giovane, integra signora, che si guarda dentro detenendo esteriormente poco o nulla, deponeva sulla progressiva presa di coscienza a fronte dell’oscura malattia.

L’invernale candore a ridosso di un qualsiasi percorso, sotto la volta celeste e con le nubi immacolate, segnava della soffice limpidezza, talmente non soggetta ad alcun termine di paragone che la temperatura, glaciale, sembrava rialzarsi di schianto, affinché l’autrice tornasse ad abbandonarsi con desiderio sincero, divertita a seguito di un’immagine illuminante (e non si tratta di certo di una prima volta) da cogliere al volo.

Questo stato di appartenenza per ogni tipo di strumentalizzazione del creato, da tutelare privatamente, deliziosamente, segna Sandra più che in positivo, e non importa cosa la spinge a decretarlo, perché altrimenti ne verrebbe meno l’umana magia…!

E’ determinante la spedizione, più della conclusione, dovendo trovare accezioni insolite.

Anche se Sandra non sembrava capace di cogliere il rimando specifico che la induce a essere a stretto contatto con la Fantasia, con questo rifugio della mente, nonostante lei sia conscia della comunicazione che sprigiona proprio per accadimento lunare.

D’altronde il distinguo consiste esclusivamente nel buono come nel cattivo tempo acutizzante la Ragione.

La fragilità del non reggersi si faceva occupare dalla trepidazione morale, che insisteva a travolgere la memoria necessaria, non più sigillabile.

L’autrice non ce la faceva più a considerarsi come un’indagatrice dell’oltre che le veniva proibito ai suoi occhi, convinta come pochi dei talenti che serba, che le fanno battere il cuore, annoiandosi per come doveva sobbarcarsi materialmente, a rischio di perdere il senso delle vere risorse che deteneva, che aspettavano d’essere sviluppate, tanto da sconfortarsi e non comprenderne la causa spiccatamente.

Si domandava come mai dovette raccogliere certi elementi, piccolezze all’apparenza, per individuarne di ognuno l’impressione variegante, in quanto forse ciascuno valesse un pubblico legame se non addirittura il particolare simboleggiante una fase dell’esistenza che s’incorpora, e mai a scanso della complessità dei pensieri.

Quindi Sandra era costretta a badare alla sua intensità, a immergersi spiritualmente per volgere all’eterno.

Il destino ce lo costruiamo noi, lei lo ha appurato, e a dimostrazione di ciò v’è la scoperta di una mancanza che spunta nell’evolversi di un intento magari prestabilito; come a indicare il desiderio da plasmare.

Per stare bene qualsiasi persona si deve impegnare a priori; e ciò è dovuto dalla mutazione della sostanza tossica in quella curativa, stando al dettame buddistico.

Movimentandoci come degli avventurieri al ricordo di situazioni che inteneriscono i sentimenti, e poi i gesti, comportiamo euforia.

L’autrice creò così scompiglio nella sua dimora, roba che a fine giornata codesta risultava pulita, splendente, senza più quella sensazione di cadere nel vuoto, certa lei che un’entità, in cui riflettersi spudoratamente, la stesse preservando per amore.

La gioia è paragonabile a un semplice mezzo per navigare mari incontaminati, che si sposta da sé; ragionando, parlando e agendo contemporaneamente per rinvigorire una poesia.

Fuori dal comune, anche l’osservazione di una forma di vegetazione che sortisce nutrimento, magari sin dall’alba, e quando c’è da festeggiare un San Valentino, rassicura sulla similitudine dei raggi solari con quelli lunari, come se in simbiosi, per uno spirito d’unione che si mette in primo piano, alleviando in assoluto il ciclo delle ore e poi quello delle stagioni.

L’utile, tutto da gustare semplicemente, è la prova che il sentimento nuovo dipende dal rapporto, trasparente, con quello che ti piace fare… dal volersi bene; per una spasmodica archiviazione dell’evidenza.

                                                                                                                         Vincenzo Calò







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Il Seicento è, anche per la Spagna, il secolo del Barocco. Tipici della letteratura dell'epoca sono il "culteranesimo" (predilezione per termini preziosi e difficili) e il "concettismo" (ricerca di figure retoriche che accostino elementi assai diversi fra loro, suscitando stupore e meraviglia nel lettore). Per liberare il Barocco dall'accusa di artificiosità, si è cercato di distinguere una corrente "culterana", letterariamente corrotta e di contenuti anche immorali, da una corrente "concettista", nutrita dalla grande tradizione intellettuale e morale spagnola. E' vero che il Barocco spagnolo vede, al proprio interno, vivaci polemiche fra autori (come Luis de Gòngora e Francisco de Quevedo) e gruppi. Ma l'esistenza di queste due contrapposte correnti non ha fondamento reale. Quanto al concettismo, è interessante notare come esso sia stato alimentato dalla significativa definizione che di "concetto" ha dato Francesco

Farfalle prigioniere, ovvero La vita è sogno

Una giovane mano traccia le linee d’una farfalla. Una farfalla vera si dibatte sotto una campanella di vetro. La mano (che, ora, ha il volto d’un giovane pallido e fine) alza la campanella. L’insetto, finalmente libero, si libra e guida lo spettatore nella storia del suo alter ego, la Sposa Cadavere.              Così come Beetlejuice , The Corpse Bride (2005; regia di Tim Burton e Mike Johnson) si svolge a cavallo tra il mondo dei vivi e quello dei morti, mostrandone l’ambiguità. A partire dal fatto che il mondo dei “vivi” è intriso di tinte funeree, fra il blu e il grigio, mentre quello dei “morti” è caleidoscopico, multiforme, scoppiettante. A questi spettano la gioia, la saggezza e la passione; a quelli la noia, la decadenza, l’aridità. Fra i “vivi”, ogni cosa si svolge secondo sterili schemi; fra i “morti”, ogni sogno è possibile. Per l’appunto, di sogno si tratta, nel caso di tutti e tre i protagonisti. A Victor e Victoria, destinati a un matrimonio di convenienza, non è co

"Gomorra": dal libro al film

All’inizio, il buio. Poi, lentamente, sbocciano velenosi fiori di luce: lividi, violenti. Lampade abbronzanti che delineano una figura maschile, immobile espressione di forza.   Così comincia il film Gomorra, di Matteo Garrone (2008), tratto dal celeberrimo libro-inchiesta di Roberto Saviano. L’opera del giornalista prendeva avvio in un porto: un container si apriva per errore, centinaia di corpi ne cadevano. Il rimpatrio clandestino dei defunti cinesi era l’emblema del porto di Napoli come “ombelico del mondo”, dal quale simili traffici partono ed al quale approdano, da ogni angolo del pianeta. Il film di Garrone si apre, invece, in un centro benessere, dove regna un clima di soddisfazione e virile narcisismo. Proprio qui esplode la violenza: tre spari, che interrompono il benessere e, al contempo, sembrano inserirvisi naturalmente, come un’acqua carsica che affiora in un suolo perché sotto vi scorreva da prima. Il tutto sottolineato da una canzone neomelodica italiana: i