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Visualizzazione dei post da aprile, 2016

Coming out al centro islamico

Lo chiamano “moschea”, ma è - di fatto - una sala polifunzionale, per le esigenze della comunità musulmana locale. Quando non è impiegata per la preghiera collettiva, i tappeti vengono arrotolati e lasciati da parte. Stamattina, sono comparsi cinque banchi. Servono agli allievi del corso di arabo per italiani. La classe, quando è al completo, non supera i cinque elementi. Quasi tutti donne. Oggi, sono in tre: una quarantacinquenne, una sulla trentina e una che dovrebbe aver superato i cinquanta.             La maestra è una ragazza tunisina, naturalmente a capo velato. L’esercizio - fra i mugugni quasi generali - è di lettura. La storiella di una piccola tartaruga (è un po’ presto per essere iniziate all’alta letteratura araba).              La quarantacinquenne, enfant terrible della classe, cerca ogni modo per alleggerire la lezione a suon di risate. «Cosa vuol dire questooooo?» «È il verbo “amare”» spiega la maestra (santa…). E, per chiarire meglio, comincia a far qualche es

La nipote del diavolo - I, 10

Parte I: Fili pendenti 10. Nilde si compose sulla poltroncina in velluto e fissò in volto lo zio. La Minerva di gesso, nella penombra, sembrava più vigile – più viva.             «Come sicuramente ricorderai, tornare a vivere con me e a seguire i tuoi studi era soltanto la prima parte del nostro patto» esordì Michele Ario. «La seconda prevedeva che tu imparassi a usare realmente la katana che ti avevo regalato». La ragazza annuì. La scena nella chiesa di S. Michele Maggiore era nitidissima nella sua memoria. Quel duello mancato, che avrebbe dovuto concludere la guerra fra lei e l’unico familiare che le fosse rimasto. La navata deserta, per la complicità del parroco, che voleva aiutare l’amica del nipote prigioniero. La scoperta di non essere ancora cresciuta abbastanza per chiudere il conto. «Dunque, ti presento la tua maestra: la signorina Irene Serra».             Nilde rivolse l’attenzione a quella figura sconosciuta, seduta di fronte a lei al tavolo della bib

Le analisi di Vincenzo Calò: Mirko Musas - Le tenebre dell'anima (ed. Sensoinverso)

E’ un romanzo (953 pagine, ma tranquilli, si lasciano leggere eccome!) che scandaglia l’essenza di un individuo che procede lungo il normale percorso di vita tralasciando strane impronte, come se preda di una concezione dell’essere d’affrontare assolutamente; che va a zonzo come a voler raggiungere la parzialità di un’anomalia che riguarda un po’ tutti, riempito di una condizione di quiete presto soffocante, da doversi svuotare a un certo punto per edificare dei desideri.  Mirko Musas Tra il sonno e la veglia traspare inizialmente la deliziosa ingenuità di un bambino di nome Mirko ( a proposito, va detto che l’autore presenta nulla di autobiografico, che la storia è puramente frutto della sua creatività letteraria ), che permette d’impicciare riflessioni in modo tale d’alimentare sembianze in cui il tangibile e il suo esatto contrario si attraggono. L’abilità nel riuscire a trovare la soluzione ai quesiti più elementari però la comprime in sé al contatto comune, quando vie

Ha ragione Rousseau

Qualche tempo fa, un mio amico ha affermato che “Rousseau era in un certo senso anti illuminista”, perché riteneva che il popolo non avesse anima e soggettività politica.              Peccato che l’Illuminismo sia esattamente questo, come illustra anche David Van Reybrouck .             Quel clima culturale, quella costellazione di pensatori complessivamente ricordati come Lumières era l’espressione della borghesia benestante e colta, non certo di contadini e manodopera. La rivendicazione di spazi politici e peso decisionale negli affari pubblici riguardava chi era conscio di detenere competenze tecniche specialistiche, potere finanziario, iniziativa imprenditoriale e conoscenze filosofiche: quello che, oggi, designeremmo genericamente come “sapere accademico”.             Che fossero esuli o coccolati da monarchi assoluti, laici o ecclesiastici come Giuseppe Parini, gli illuministi non proposero il suffragio universale così come lo conosciamo oggi. Quello è un prodotto squis

Vincenzo Calò intervista Sandra Romanelli

Sandra Romanelli…  Sandra Romanelli nasce nel 1972 a Faicchio, nella provincia di Benevento. Nel 1991, dopo aver conseguito la maturità linguistica, si trasferisce a Roma dove conseguirà la laurea in psicologia. Nel 2002 ritorna al suo paese di origine. L’incontro col buddhismo, il suo spirito di ricerca, oltre all’amore per la psicologia, motiveranno l’autrice così tanto da voler rispolverare l’antica passione per la scrittura, alternandola con la lettura, per portare a termine il suo libro, “La stanza con l’oblò”. Benvenuta Sandra. Darsi da fare… cosa significa di questi tempi? Significa tirare fuori il meglio di se stessi, avere la faccia tosta di parlare con chiunque, anche con chi si crede superiore, il quale non ha capito che nessuno è migliore o peggiore di un altro anzi… forse il peggiore individuo è proprio colui che non vede l’altro come suo simile. Di questi tempi si è persa l’umanità, e darsi da fare per me è fare il possibile e l’impossibile affin