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Se mi ami, devi soffrire

"Ripensavo a un aspetto particolare del mio viaggio in Rajastan. Il fatto che il malato possa diventare un carnefice. In questo caso il malato ero io. Il malato nel tentativo di salvarsi si aggrappa alla vittima designata. E tanto è contento quando l'ha resa uguale a sé. Chi vuole aiutare qualcuno, deve avere un giusto distacco. Nella malattia si tende a sottomettere chi ti sta di fronte. Si vuole suscitare attenzione e pietà. E' un modo sbagliato di chiedere aiuto. Spesso si tende a regalare a piene mani sensi di colpa in giro, al primo che passa, a coloro che ti vogliono bene, perché non fanno mai abbastanza. Addirittura sarebbero loro i responsabili del tuo malessere. Ma io non ho nulla da insegnare agli altri. L'ho vissuto in prima persona, nel giro turistico nel Rajastan. Avevo la febbre, un raffreddore da cavallo, l'aria condizionata in macchina. Hanno interrotto la vacanza per per me. Sono stati carinissimi. Ma io al momento non ne avevo nessuna coscienza. Anzi pensavo che non facevano mai abbastanza per me. Non ero contento. Subivo e volevo far subire. Non si può essere più scemi di così. Il buon senso è il primo martire in questi casi. Finché il malato non diventa protagonista del suo malessere, rischia di tirare tutti nel baratro. E finché non li vede tutti nel fondo, non è soddisfatto. In prima linea contro la malattia se non ci metti il malato, hai due malati. E se pensi di aver guarito qualcuno, ti sei fatto fesso tu e hai ingannato l'altro. Anche in perfetta buona fede. Ora può capitare a tutti di avere un momento di sconforto, di bassa energia. Anche la giusta compassione non guasta. Spesso è l'equilibrio che manca. Ma quello non lo costruisci al momento. E' il frutto di un lavoro su di sé. Ci sono però delle spie comportamentali che dovrebbero aiutarci. Se nel caso di un bisogno, ti aggrappi all'amico, e lo costringi a farsi in quattro per te. E gli dici: 'Oh! Si che tu sei un vero amico. Sei come un fratello, come un padre'. Tu non ti accorgi che forse gli hai appioppato un ruolo che lui non ha scelto. Quando sei avviluppato in mille contese, anche in tribunale, e non trovi mai un accordo possibile. E ti lamenti poi che gli avvocati ti stanno strozzando. E per forza! Sei tu che hai offerto la testa al carnefice. Lo so. La sto certamente esemplificando troppo. Ma per me sono delle spie a cui dobbiamo stare attenti. Quando iniziamo a dire: 'Lui o lei deve fare per me...'. Quel 'deve' è di troppo. Pensa prima a quello che tu devi. E lascia agli altri il respiro. Un'altra spia eccezionale è il modo di usare il telefono, le lunghe telefonate. Non parlo degli adolescenti in cerca di amore. Ma questo è un altro racconto. E sto per crollare dal sonno."

PASQUALE FIORENZA

Da: Pasquale Fiorenza in India, «Uqbar Love», N. 172 (25 febbraio 2016), p. 6.

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