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Gioventù

“Negli anni giovanili si venera e si disprezza ancora senza quell’arte della nuance che costituisce il miglior profitto della vita e giustamente bisogna scontare con severità l’aver aggredito in tal modo con un sì o con un no uomini e cose. Tutto è disposto in modo che il peggiore dei gusti, il gusto dell’assoluto, venga orribilmente ingannato e che si abusi di lui, finché l’uomo non impari a porre un po’ d’arte nei suoi sentimenti e meglio ancor finché non osi tentare l’artificio: come fanno i veri artisti della vita. Il sentimento dell’iracondia e della venerazione, che sono propri della gioventù, sembrano non darsi pace se prima non hanno falsato uomini e cose tanto bene che ci si possa sfogare contro di essi: - la gioventù è già in sé qualcosa di falsificante e ingannatore. Più tardi, quando la giovane anima, martoriata da acute disillusioni, si rivolta alla fine sospettosamente contro se stessa, ancor sempre ardente e selvaggia, anche nella sua diffidenza e nei rimorsi della sua coscienza: come si incollerisce ora contro se stessa, come si dilania con impazienza, come si vendica per la sua lunga cecità, come se fosse stata una cecità volontaria! In questo trapasso ci si punisce con la diffidenza verso il proprio sentimento; si tortura il proprio entusiasmo con il dubbio, si sente addirittura la buona coscienza come un pericolo, quasi come un autoffuscamento e un rilassamento della rettitudine più pura; è soprattutto si prende partito, si prende per principio partito contro la «gioventù». – Un decennio più tardi: e si comprenderà che anche tutto ciò era ancora – gioventù!”

FRIEDRICH WILHELM NIETZSCHE (1886)


Da: Al di là del bene e del male. Preludio di una filosofia dell’avvenire, Roma 1996, Newton Compton, 6^ edizione, p. 68. Traduzione di Silvia Bortoli Cappelletto.

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