Passa ai contenuti principali

Post

Visualizzazione dei post da gennaio, 2016

La vergine di ferro - III, 9

Parte III: Il filo di Arianna 9. Nilde levò gli occhi verso le bifore che si aprivano come pupille di gatto, nell’arenaria di S. Michele Maggiore. Il pomeriggio inoltrato ammantava la chiesa romanica d’un alone sonnolento. La ragazza strinse a sé, sotto il soprabito scuro, la katana che non aveva lasciato neppure nella bara. Inspirò a fondo e varcò il portone dell’edificio.              Nonostante mancasse mezz’ora alla consueta Messa feriale, la chiesa era deserta. La ragazza udì, dietro di sé, che gli ingressi venivano chiusi. Benedisse la connivenza di don Raffaele.             Vide subito quella figura d’uomo maturo, dalle sopracciglia fosche, che si levava nel mezzo della navata, vestito d’un soprabito simile a quello di lei. Si trovava proprio sopra i cinque dischi di marmo che, secondo la leggenda, contrassegnavano il luogo delle incoronazioni degli aspiranti re d’Italia con la Corona Ferrea.             «Per una volta, arriva Arianna al posto di Teseo» c

Dignità

“Appena appena un po’ di convenzionalismo «sessantottesco» o di ortodossia comunista, impedirebbe a un giovane di capire che il modo di essere degli italiani di allora non era condannabile o indegno perché non rivoluzionario, o perché addirittura passivo. Ci sono intere epoche, anzi millenni, della storia umana, in cui il popolo è stato così. Ma la dignità dell’uomo non è, per questo, inferiore. Non esistono uomini «subumani». Gli uomini trovano sempre il modo di «adempiersi». E ciò non lo dico sotto il segno di nessuno spiritualismo, ma sotto il segno di una concretezza razionale, anche se fondata sul sentimento. È astratto, disumano e stupido, invece, chi pronuncia facili condanne contro interi periodi della storia umana in cui il «popolo» ha risposto alla sottomissione con la rassegnazione. Il momento dello spirito di tale popolo che fosse potenzialmente rivoluzionario trovava sempre il modo di esprimersi altrimenti: magari proprio attraverso la rassegnazione e, soprattutto, attr

Il genocidio

“Vorrete scusare qualche mia imprecisione o incertezza terminologica. La materia - si è premesso - non è letteraria, e disgrazia o fortuna vuole che io sia un letterato, e che perciò non possegga soprattutto linguisticamente i termini per trattarla. E ancora una premessa: ciò che dirò non è frutto di un’esperienza politica nel senso specifico, e per così dire professionale della parola, ma di un’esperienza che direi quasi esistenziale.              Dirò subito, e l’avrete già intuito, che la mia tesi è molto più pessimistica, più acremente e dolorosamente critica di quella di Napolitano. Essa ha come tema conduttore il genocidio: ritengo cioè che la distruzione e sostituzione di valori nella società italiana di oggi porti, anche senza carneficine e fucilazioni di massa, alla soppressione di larghe zone della società stessa. Non è del resto un’affermazione totalmente eretica o eterodossa. C’è già nel Manifesto di Marx un passo che descrive con chiarezza e precisione estreme il g

Brave New World

“Ed ecco, mi cacciavo, di nuovo, fuori, per le strade, osservavo tutto, mi fermavo a ogni nonnulla, riflettevo a lungo su le minime cose; stanco, entravo in un caffè, leggevo qualche giornale, guardavo la gente che entrava e usciva; alla fine, uscivo anch’io. Ma la vita, a considerarla così, da spettatore estraneo, mi pareva ora senza costrutto e senza scopo; mi sentivo sperduto tra quel rimescolìo di gente. E intanto il frastuono, il fermento continuo della città m’intronavano.             «O perché gli uomini,» domandavo a me stesso, smaniosamente, «si affannano così a rendere man mano più complicato il congegno della loro vita? Perché tutto questo stordimento di macchine? E che farà l’uomo quando le macchine faranno tutto? Si accorgerà allora che il così detto progresso non ha nulla a che fare con la felicità? Di tutte le invenzioni, con cui la scienza crede onestamente d’arricchire l’umanità (e la impoverisce, perché costano tanto care), che gioja in fondo proviamo noi, anche

L'arte nel presepio

Il nome di Angelo Bertelli, a Manerbio, è legato ai meravigliosi presepi che espone ogni anno, nel periodo natalizio. Una passione nata come passatempo ingenuo, un gioco coi nipoti. Poi, è diventata un’arte da offrire alla cittadinanza.              Per anni, la collocazione dei piccoli capolavori è stata una casa privata vicino alla chiesa di S. Faustino in Breda. Dal 2014, essa si è spostata nel cortile del circolo ACLI. Ogni anno, la Natività riceveva una collocazione diversa: l’Eremo delle Carceri ad Assisi, Matera, Timor Est, il castello di Padernello, le santelle manerbiesi, il borgo di Malvisi (Piacenza), per dirne alcune.             Nel 2015, l’arte si è sposata all’arte. Negli edifici in miniatura di una Betlemme fantastica, hanno fatto bella mostra di sé riproduzioni di dipinti pregiati. In una bettola, fra orci di vino, siedono “I bari” (1594) del Caravaggio: una partita a carte poco pulita, che occhieggia al mondo “umano, troppo umano” che fa da teatro alla stor

L'Epifania in piazza

Un appuntamento ormai consueto, per i manerbiesi, è l’arrivo dei Magi in Piazza Italia. Il teatro è la capanna a grandezza naturale che ospita una Natività: frutto dell’iniziativa di Lino Filippini, di concerto con l’oratorio “S. Filippo Neri” e il Comune. Opera sua è anche la “sacra rappresentazione” del 6 gennaio. Nel 2016, i figuranti travestiti da Magi – fra i quali, lo stesso Lino – sono stati accompagnati da pastori, soldati romani, verissimi pony e da ragazzi della Civica Associazione Musicale Santa Cecilia lungo via XX Settembre – Scià ólt, per i manerbiesi veraci.              Quest’anno, gli alberi di Piazza Italia hanno ospitato le bandiere delle nazionalità rappresentate a Manerbio, in ossequio all’universalismo tipico dell’Epifania. Ne erano presenti quasi una quarantina («Ma l’elenco andrebbe aggiornato» ha precisato Filippini). Per essere sicuri di non scontentare nessun Paese, è stato posto anche lo stendardo della Giornata Mondiale della Gioventù 2000. All’ing

Note di Natale

Nel 2015, il tradizionale concerto natalizio di Manerbio ha avuto qualche sapore in più. La parrocchia “S. Lorenzo Martire” ha voluto dedicarlo al trecentesimo compleanno della pieve e al Giubileo Straordinario della Misericordia.              Il 13 dicembre 2015, si sono ritrovati nella chiesa parrocchiale due cori: la Schola Cantorum “Santa Cecilia”, diretta da Virginio Mariotti, e il “Gaudium Cantandi”, diretto da Paolo Filippini. Le voci soliste erano quelle del soprano Maria Chiara Gritta e del tenore Nicola Bonini. La parte strumentale era affidata al violoncello di Daniela Savoldi, alla tromba di Fabio Carioni, all’oboe di Roberto Rossi e all’organo del suddetto Mariotti. Proprio a questo quartetto è spettato aprire “ex abrupto” la serata, con il “Trumpet Tune” di Jeremiah Clarke (1674-1707). Solo in seguito è intervenuta la presentazione di Bonini, per introdurre gli ascoltatori al programma. Esso era diviso in due parti: “La Chiesa: corpo mistico di Cristo” e “Il Santo N

Nel labirinto della violenza

La violenza domestica è un filo rosso che si snoda sornione, nei letti e sotto i tappeti, fra bianche signore impellicciate e africane dagli abiti multicolori. Così è stata rappresentata, per l’appunto, nella mostra itinerante “Seguendo il Filo di Arianna e Teseo o Minotauro”. Essa fu allestita nel maggio 2014 a Malnate (Varese) e raccoglieva le opere di ottanta donne. L’ideatrice era Valentina Benedetto Grassi. Nel settembre dello stesso anno, si aggiunsero gli uomini, con la parte “Teseo o Minotauro”, appunto. Da lì, è stata trasportata in più luoghi. A Brescia e provincia, sono già state tenute diverse edizioni, curate da Valeria Zanini, una delle prime artiste a partecipare. Attualmente, le firme sono oltre centosessanta.              La mostra è approdata a Manerbio grazie alla cura di Anna Maria Bietti, con la collaborazione dell’associazione locale “Donne Oltre”. L’evento è stato patrocinato dal Comune di Manerbio, dall’Azienda Ospedaliera di Desenzano del Garda, dall’ASL

Maria Feola, da Manerbio al villaggio globale

Maria Feola è manerbiese; è iscritta al quinto anno di Lingue e letterature all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Brescia, presso la facoltà di Scienze linguistiche. Nel 2015, il corso di Marketing della suddetta facoltà ha previsto la possibilità di partecipare a un progetto internazionale: X-Culture, ideato nel 2010 dal prof. Vas Taras dell’Università di Greensboro (North Carolina). Alla Cattolica, l’iniziativa è arrivata per interessamento della prof.ssa Loretta Battaglia, docente nelle sedi di Brescia e di Milano. X-Culture consisteva nel suddividere più di tremila partecipanti (studenti da tutto il mondo) in gruppi di cinque o sei persone, connesse tramite Internet. Ciascuna squadra avrebbe dovuto elaborare un progetto di marketing per l’internazionalizzazione di un’azienda.              Maria si è ritrovata a lavorare con un collega pakistano, una venezuelana, un brasiliano e due statunitensi. Un’esperienza di multietnicità che, tuttora, sarebbe difficile realizzare n

Lo strano, antico caso della finanza etica

Nel “Faust”, J. W. Goethe (1749-1832)  rappresentò come diabolica l’invenzione della cartamoneta: ovvero, il denaro dal valore puramente virtuale, sottoposto a ogni speculazione. Ci vide lungo. Nel 2003, l’Italia scoprì il crac Parmalat: miliardi di euro non solo virtuali, ma addirittura inesistenti. Oggi, il capitale è sempre meno legato al territorio. La globalizzazione ha fatto del mercato una fioritura di speculazioni, vaste e fragili come bolle.              Di questo ha trattato l’incontro “Finanza etica. Il caso di Banca Etica”, organizzato dall’Associazione Culturale Chirone di Manerbio, presso il Municipio (4 dicembre 2015). Erano stati invitati Maurizio Bianchetti (coordinatore dei soci della Banca Etica per la Lombardia, il Piemonte e la Liguria) e Pietro Ghetti (di Banca Etica, filiale di Brescia). L’intervento di Bianchetti ha ricordato il fallimento di Lehman Brothers, col quale, nel 2008, iniziò ufficialmente una catena di crac: gli scoppi di quelle “bolle speculat

Arriva a San Gervasio la “Bancarella della solidarietà”

Col Natale, arriva la consueta ondata di regali, lustrini, acquisti. Anche San Gervasio, il 20 dicembre 2015, si è concesso un mercatino natalizio. E, fra le varie bancarelle, ce n’era una davvero speciale.             I manerbiesi la conosceranno senz’altro, perché è sempre lei: la “Bancarella della Solidarietà”. Arriva a ogni sagra ed evento, se invitata. Offre vestiti e giocattoli, principalmente: tutti provenienti dalle mani di donatori che vogliono dare una nuova vita ai loro oggetti usati (o meno). Il ricavato viene devoluto ogni volta a un’associazione diversa, purché si occupi di ricerca in campo medico. L’organizzatrice è Mariangela Pellegrini, con i suoi collaboratori.              Quest’anno, la bancarella è stata arricchita da ninnoli natalizi, insieme a peluche e a vestiti praticamente nuovi. Un grosso granchio verde di pezza, in particolare, ha fatto bella mostra di sé in alto, oltre a far contenta una bambina. Tra i pupazzi, spuntavano gli immancabili Babbi Natal

Cuore

“Il nuovo potere consumistico e permissivo si è valso proprio delle nostre conquiste mentali di laici, di illuministi, di razionalisti, per costruire la propria impalcatura di falso laicismo, di falso illuminismo, di falsa razionalità. Si è valso delle nostre sconsacrazioni per liberarsi di un passato che, con tutte le sue atroci e idiote consacrazioni, non gli serviva più.             In compenso però tale nuovo potere ha portato al limite massimo la sua unica possibile sacralità: la sacralità del consumo come rito, e, naturalmente, della merce come feticcio. Nulla più osta a tutto questo. Il nuovo potere non ha più nessun interesse, o necessità, a mascherare con Religioni, Ideali e cose del genere, ciò che Marx aveva smascherato.             Come polli d’allevamento, gli italiani hanno subito assorbito la nuova ideologia irreligiosa e antisentimentale del potere: tale è la forza di attrazione e di convinzione della nuova qualità di vita che il potere promette, e tale è, insieme,

La vergine di ferro - III, 8

Parte III: Il filo di Arianna 8. Secondo Flashback Nilde contemplava, con beatitudine incredula, il regalo dello zio. Un’autentica katana giapponese, esattamente della sua misura. «Grazie…» mormorò a fior di labbra.  «Non hai idea di quanto io abbia desiderato vederti così… grata e sommessa, per una volta» rispose Michele Ario, con voce pastosa. La ragazza non replicò. «Ti ho osservato a lungo. So che quella spada è ormai la tua anima. Però…» riprese l’uomo «…il possesso materiale di una lama, in sé e per sé, è nulla. Anche il fatto di saperla maneggiare è cosa da poco. La vera dote dello spadaccino…» esordì «…è la vigilanza costante d’una mente sgombra. Eternal sunshine of the spotless mind ». Nilde si voltò verso di lui. Ma era già tardi. Un oggetto pesante e allungato la colpì sul cranio, come una folgore. E fu il buio. [Continua] Pubblicato su Uqbar Love, N. 167 (21 gennaio 2016), p. 34.

Il patto col diavolo

“C’è dunque un doppio legame di malafede in questo rapporto tra Chiesa e Stato: da parte sua la Chiesa accetta lo Stato borghese - al posto di quello monarchico o feudale - concedendo ad esso il suo consenso e il suo appoggio, senza il quale, fino a oggi, il potere statale non avrebbe potuto sussistere: per far questo la Chiesa doveva però ammettere e approvare l’esigenza liberale e la formalità democratica: cose che ammetteva e approvava solo a patto di ottenere dal potere la tacita autorizzazione a limitarle e a sopprimerle. Autorizzazioni, d’altra parte, che il potere  borghese concedeva di tutto cuore. Infatti il suo patto con la Chiesa in quanto instrumentum regni in altro non consisteva che in questo: mascherare il proprio sostanziale illiberalismo e la propria sostanziale antidemocraticità affidando la funzione illiberale e antidemocratica alla Chiesa, accettata in malafede come superiore istituzione religiosa. La Chiesa ha insomma fatto un patto col diavolo, cioè con lo Stat

Quel modo di diventare donne

Saffo di Mitilene (prima metà del VI sec. a.C) –per impiegare un’espressione di Simone Beta- è uno di quei fantasmi i cui echi ci fanno intravedere la cosiddetta “lirica arcaica greca”. Lesbo , l’isola su cui sorgeva la sua città natale, è vicina alle coste dell’Anatolia. Quella della poetessa è dunque una grecità lontana dalla Grecia peninsulare, che ci ha consegnato gran parte della letteratura e della filosofia studiate nei licei. Il nome di Saffo e della “sua” isola sono diventati celeberrimi, però, per aver fornito la radice alla terminologia dell’eros fra donne . Non a caso la figura della poetessa è stata controversa soprattutto riguardo alla sua sessualità. Già il teatro comico del V sec. a. C. la dipingeva come ninfomane. La sua leggenda –raccolta da poeti come Giacomo Leopardi e Charles Baudelaire- la vuole anche amante infelice del barcaiolo Faone; per dimenticare le proprie sofferenze passionali, si sarebbe gettata nel mar Ionio dalla rupe di Leucade. Simone Beta