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Movember in Jazz



Un paio di baffi per sostenere la salute maschile. Questa è l’idea di Movember, un’associazione a diffusione globale che si occupa di finanziare la ricerca sui tumori alla prostata e ai testicoli, sul malessere psichico e sull’inattività fisica che affliggono spesso gli uomini. “Movember” deriva da “moustache + November”. In questo mese, infatti, i sostenitori si fanno crescere i mustacchi (per le donne… un po’ di pazienza. Vanno benissimo quelli finti), come “pubblicità naturale”. E raccolgono fondi per la ricerca medica.
            A Manerbio, Movember si è presentata “in Jazz”. Il Teatro Civico “Memo Bortolozzi”, infatti, ha ospitato due concerti. L’ingresso era a offerta libera; era possibile acquistare anche gadget firmati dal caratteristico paio di baffi. I fondi così raccolti erano destinati all’ANT (Associazione Nazionale Tumori): un ente che offre assistenza socio-sanitaria gratuita ai malati di cancro.
            La generosità dei convenuti è stata ben ripagata.  La sera dell’11 novembre 2015, hanno potuto apprezzare la vivacità dei Red Dolphins: una formazione new swing & jump blues fondata da Fabiano Redolfi. La parte del leone è toccata ad arrangiamenti di brani dei Big Bad Voodoo Daddy.
            Una piccola antologia di storia del jazz è stata invece offerta il 19 novembre da Gianni Alberti (sax) e Lino Franceschetti (pianoforte). La vivacità è inscritta nel nome stesso, derivato da “jass”: il “brio” con cui erano giocate le partite di baseball. Per arrivare a esso, almeno tre generi musicali si sono fusi: lo spiritual, il blues e il ragtime. Ovvero, tre voci del mondo afroamericano all’inizio del ‘900. Il ragtime era pianistico, ma celebri (nel jazz) sono i trombettisti creoli di colore. La culla del migliore jazz fu New Orleans, dove i neri erano numerosi e relativamente agiati. Famosissimo è Louis Armstrong (1900-1971), che pure era “solo” la seconda tromba di King Oliver (1885-1938). Ma il primo disco jazz (ha ricordato Alberti) fu opera di un’orchestra guidata da un italoamericano, Nick LaRocca (1889 – 1961): “Tiger Rag” (1917). In Francia, invece, fu osannato e sepolto Sidney Bechet (1897-1959): un clarinettista nero, originario di New Orleans, che passò al sax soprano.


            Nel 1917, per “proteggere” i soldati americani dai “vizi”, furono chiusi i locali notturni di Storyville, distretto di New Orleans. I musicisti jazz che vi lavoravano si trasferirono a nord, in città come Chicago e New York. Fu così che nacque l’epopea di Duke Ellington (1899-1974). Lui e i suoi “Washingtonians” si stabilirono nel “Cotton Club” del quartiere di Harlem, a New York, e fecero la storia del jazz ispirandosi a compositori europei come M. Ravel e C. Debussy. Per questo, è ricordato fra i più grandi musicisti statunitensi, insieme a George Gershwin (1898-1937). Quest’ultimo fu molto popolare nella cosiddetta “Era dello Swing” (anni ’30) e fece la parte del leone nei musical di Broadway e Hollywood.
            All’inizio degli anni ’40, Alberti ha collocato un gruppo di musicisti che, dopo aver suonato nelle sale da ballo, si riunivano per cercare “nuove strade”. Dai loro esperimenti, nacque il “bebop”, termine onomatopeico per indicare una musica complessa, fatta d’improvvisazioni su tema. Una suddivisione, in generale, si verificò fra la costa orientale degli USA, col suo “Hot Jazz” (più vivace) e quella occidentale, dov’era popolare il “Cool Jazz” (più cervellotico, ispirato a compositori come Béla Bartók). A metà degli anni ’50 (secondo la datazione di Alberti), si pone invece l’origine della “bossa nova”, nata dalla fusione fra jazz e samba. La serata si è conclusa con il “jazz rock” di Herbie Hancock. Un ringraziamento è andato a Fabio Berteni, che si è speso per l’organizzazione di entrambi i concerti, e al compositore manerbiese Luigi Damiani, presente in sala. Ma l’ultima parola (anzi, l’ultima nota), è spettata a un pezzo italiano: “Senza fine”.

Pubblicato su Paese Mio Manerbio, N. 103, dicembre 2015, p. 10.

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