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Apologia negativa

Questi ultimi due anni sono stati un tale travaglio e andirivieni di moti dello spirito da richiedermi un momento per mettere nero su bianco ciò che ho trascorso – e trovare così un fil rouge. Attualmente, mi posso definire un’ “agnostica non razionalista”. Ovvero: ritengo che nessun ente religioso possa dichiararsi superiore agli altri, in quanto la ricerca del trascendente implica una tensione costante verso ciò che va oltre le limitate capacità conoscitive umane. Semmai, una proposta spirituale può essere più o meno consigliabile in relazione alle mancanze di una singola persona o di una precisa situazione sociale e storica. 

            Sono attualmente “agnostica” anche secondo la definizione abituale: ovvero, convinta che la realtà di Dio non possa essere dimostrata e conosciuta tramite un procedimento puramente razionale. Aggiungerei: appunto. La “ricerca di Dio” è quella di un rapporto con se stessi, con gli altri e con la natura che si raggiunge non per mero ragionamento, ma tramite la scoperta di forze psichiche che nemmeno il diretto interessato sapeva di avere. La musica liturgica, la preghiera, l’incenso, la meditazione, le danze dei dervisci non sono mezzi razionali e non debbono esserlo. Ecco in cosa consiste il mio antirazionalismo: nel rifiutare qualunque atteggiamento culturale che rinneghi l’importanza dell’extrarazionale nell’uomo. Perché la passione, l’intuito, il misticismo, l’istinto, l’estetica e l’entusiasmo sono inalienabilmente umani tanto quanto il pensiero che organizza i dati in “razioni”, ovvero piccole parti studiabili nel minuto.
            Mi sono accorta, soprattutto, che le motivazioni del mio periodo agnostico sono profondamente diverse da quelle più comuni. Mi spiego nei particolari:
1.      “Fra i cristiani, ho incontrato persone irascibili, superficiali, incontinenti, intolleranti. Se a questo porta il Cristianesimo, a cosa serve?” I cristiani sono spesso i meno caritatevoli, così come i razionalisti sono spesso i meno razionali, i buddhisti i meno equanimi, i musulmani i meno sottomessi e i libertari i meno tolleranti. È un controsenso? Nient’affatto. Secondo una famosa sentenza cristiana (appunto), “non sono i sani ad aver bisogno del medico, ma i malati”. Ergo: chi si rivolge a una via spirituale o filosofica di qualche genere, lo fa per cercare di rintuzzare i propri difetti peculiari e connaturati. Con Seneca, applaudo al malato che si riconosce tale, anziché denigrare la sua medicina. E apprezzo i piccoli progressi, invece di disprezzare l’interessato per la strada che gli rimane da percorrere. Questo – beninteso – finché costui mantiene la propria umiltà. Qualora, invece, si mettesse a esaltarsi per i piccoli progressi, deridendo chi ha optato per altre medicine, si prenderebbe da parte mia ciò che egli stesso ha cercato. E chi legge questo blog sa che il mio pan e la mia focaccia sono ambedue piuttosto salati.
2.      “Non sono d’accordo con le campagne d’attivismo lanciate nelle parrocchie e nelle diocesi”. Questo è stato un punto già più serio, per la sottoscritta. Il teatrino politico italiano vede i difensori della mia Chiesa di provenienza schierati con liberisti, anti-LGBT (o no gender, come amano definirsi all’ultima moda), xenofobi: praticamente, con coloro le cui campagne mi vedono nettamente contraria. Specialmente, da quando mi sono schierata apertamente con i movimenti LGBT. Però, quando si ha a che fare con una tradizione plurimillenaria, è importante saper distinguere il venticello che passa dagli obiettivi fondamentali. Il cattolico che si sente cattolico perché va al Family Day farebbe bene a ricordarsi che il matrimonio e la famiglia sono accettati dalla sua Chiesa solo in quanto veicoli della trasmissione della dottrina religiosa (ovvero, “vie per arrivare a Dio”). E che la stessa Chiesa conserva accuratamente le opere di coloro che hanno esaltato il celibato, la castità e la paternità/maternità puramente spirituali, al di sopra del focolare domestico. Compreso il sempiterno S. Paolo (1 Cor 7, 1 ss.), che i familisti d’oggi citano solo negli stralci a loro consoni. Personalmente, ho sempre letto S. Teresa d’Avila assai più di Costanza Miriano. E – assai meno “personalmente” – ricordo che una sola delle due è Dottore della Chiesa.
3.      “Come fai a frequentare una Chiesa che discrimina i gay e i trans?” Intanto, quest’affermazione è vera fino a un certo punto. La dottrina cattolica tratta il comportamento sessuale come qualcosa di regolabile grazie alla continenza, a prescindere dall’orientamento personale e dall’identità di genere di ciascuno. Ergo, la sua falla non sta nel “discriminare” (= porre una selezione all’ingresso in base a dati non dipendenti dalla scelta del singolo), ma nel non aver ancora rielaborato le nuove conoscenze sociologiche e psicologiche in questi campi. E nell’avere una pastorale abbastanza carente per coloro che si sentono ancora cattolici, a prescindere da condizioni di natura sessuale che non dipendono da una “scelta” (checché ne dica la retorica libertaria). Rimane un dato di fatto: finché non si supererà la divisione fra la curva ultras degli “innatisti” e quella dei “pro-choice” in campo di orientamento e identità sessuale, la questione rimarrà insoluta. E questo, in Italia, andrà a detrimento sia delle tradizioni religiose locali, sia dei cittadini LGBT. Non si può pretendere che una persona si snaturi in nome del Catechismo di carta, ma nemmeno trattare una militanza a favore delle minoranze sessuali come se rispondesse a tutti i problemi sociali ed esistenziali di una comunità umana. Per quanto riguarda la discriminazione, poi… non mancano testimonianze di persone che l’hanno subita proprio in un’associazione gay o persino "antibinaria". Come si applicherebbe il suddetto ragionamento, in questo caso?
4.      “Se resterai cattolica, qualcuno ti potrà sempre rinfacciare che la tua militanza LGBT comporta un’incoerenza”. Intanto, un’anima cristiana risponde prima alla propria coscienza che a tutte le chiacchiere e le gerarchie di questo mondo ed è pronta anche ad accettare le conseguenze di questo: le persecuzioni esterne come quelle interne. Tantopiù che non rischierei certo il rogo o la galera e le mie paure sarebbero puramente astratte. Dulcis in fundo, quei cattolici che ragionano nel modo suddetto sono i primi fan delle Sentinelle in piedi, rete che non ha problemi a raccogliere anche neopagani ed estremisti politici non proprio favorevoli allo spirito di fratellanza cristiana. Come dicono i giovani d’oggi, LOL. Sul terreno dell’attivismo, ognuno si prende i propri rischi.
5.      “I gradi alti delle gerarchie ecclesiastiche sono corrotti”. Ma va’? Chi mastica un poco di storia sa che non si può avere a che fare con gli inghippi diplomatici e i flussi di denaro senza rischiare, almeno un poco, di corrompersi. Soprattutto, però, aderire a una fede significa partecipare alla sua ritualità e apprendere la sua teologia; mutare concezione del posto dell’uomo nell’universo, atteggiamento esistenziale, persino le minute abitudini quotidiane. Tutte cose che vanno molto oltre il “senso civico” e l’ “obiezione di coscienza” di cui sopra. Questo, quantomeno, se si prende sul serio quel che si sta facendo. Se non lo si prende sul serio, sarebbe il caso di rivedere le proprie scelte. (P.S. Chi abbandona una Chiesa per la sua “troppa corruzione”, di solito, non prende mai in considerazione la rinuncia alla cittadinanza italiana per gli stessi motivi. Chissà perché…). Principalmente, però, tanto la nascita di un sentimento di fede quanto la sua scomparsa sono frutto di reazioni psicologiche la cui matrice più profonda sfugge anche al diretto interessato. Per questo, il mutamento di appartenenza religiosa non può essere messo alla pari di uno schieramento politico (che dovrebbe essere di natura razionale, pratica, argomentabile).
6.       “Almeno, con questa via religiosa minoritaria e appena arrivata in Occidente, posso ricominciare da capo, nel mio Paese…” Questa è la spiegazione di chi abbandona la Chiesa cattolica per realtà spirituali meno “gettonate” in Italia, specialmente se provenienti dall’Estremo Oriente. Naturalmente, per fare ciò, costoro devono digerire la consapevolezza di rifarsi a tradizioni che hanno sostenuto il militarismo in Giappone, la persecuzione della minoranza musulmana in Birmania e l'omofobia in Tibet. Lo ammettono essi stessi, un poco sconsolati. Io sono la prima a comprendere l’inevitabilità di sbattere contro il muro dei compromessi e dei rimproveri qualunque cosa si faccia – perché la realtà ha sempre più lati. Però, quando si atteggiano a “moralmente superiori” rispetto a chi apprezza le tradizioni religiose indigene, rispondo ricordando che anche la loro scelta è un “nascondere la spazzatura sotto il tappeto”, fingendo che i mali provocati dal LORO ceppo religioso siano trascurabili, perché accadono in un altro Paese. A casa mia, questo si chiama “egoismo collettivo”. Ergo, meglio andare a fare i rigoristi morali da un’altra parte. Magari, in India o in Giappone. Non funziona meglio con chi sposa la militanza atea/agnostica/razionalista: il suo richiamo al “libero pensiero” è, spesso, un rafforzamento di quell’individualismo esasperato di cui stanno morendo le culture occidentali.
7.      “Le convenzioni sociali e le credenze si distruggono e si ricreano nel corso dei secoli. Non bisogna aver paura di smontarle, se ci si rende conto che creano problemi.” Peccato che basti qualche decennio per farle a pezzi… e (più di un) secolo per costruirne di nuove e solide. Come avviene con la tela del ragno. Per questo, a livello spiritual-culturale, io sono più favorevole al “mutamento nella continuità” che alla “tabula rasa”. Chiunque si prenda la briga di smantellare un assetto socio-economico si addossa la responsabilità di rifare in poco tempo ciò che è stato costruito con lo sforzo di generazioni intere. In altre parole: si sopravvaluta…
8.      “Il prestigio di cui gode la Chiesa cattolica in Italia rende impossibile il perseguimento penale dei prelati colpevoli di pedofilia o di reati finanziari”. Se è così, io mi farei due domande sull’efficacia della giustizia nello Stato italiano. Soprattutto, il “prestigio” di un’istituzione è più un prodotto delle scelte di chi pratica la “politica attiva” che non della schietta fede. Un fervente cattolico che scopre un ministro indegno è il primo a volerne l’allontanamento e il castigo, proprio per l’importanza che dà al suo compito. Viceversa, l’ateo militante che punta il dito contro i preti pedofili è il primo (in fondo) a compiacersi di quella schifezza, perché gli dà l’occasione di smuovere l’opinione pubblica senza affaticarsi in complesse argomentazioni. Quantomeno, quando il suo anticlericalismo è una posizione elaborata, erudita, assunta a freddo. Lasciamo stare un altro dato di fatto: ovvero, che gli articoli scandalistici sul clero provengano da fonti di dubbissima attendibilità. Qualcuno dice che è colpa della “mancanza di un forte Partito socialista”. Può darsi. Ma mille “può darsi” non fanno un’evidenza.
9.      “Tu vuoi continuare a credere in ciò che preferisci!” O si preferisce, o si crede: tertium non datur. Non mi sono mai aggrappata alla religione per averne consolazione o facili risposte esistenziali. Quando ero fermamente credente, l’esperienza della religione faceva parte della mia vita esattamente come il sole in cielo e i calzini nei cassetti. Quando ho dubitato della verità assoluta del cattolicesimo, ugualmente il mio tormento non era di natura esistenziale. Semmai, di natura morale e teoretica. Ma era l’ovvio travaglio di chi si fa domande sulle proprie posizioni, non un “bisogno di credere”. Aggiungo che ho conosciuto atei che sposavano l’ateismo per paura degli obblighi religiosi, o di un Dio che giudicasse le loro azioni. C.S. Lewis, prima di tornare anglicano, era di questa pasta (leggasi la sua autobiografia Sorpreso dalla gioia). Né è raro incontrare atei e scettici impauriti dalla forza delle religioni, dalle masse che smuovono e dal mutamento (apparente) che sanno portare nelle persone. Si direbbe che l’ateismo e lo scetticismo possano essere rifugi assai più comodi di una religione.
10.  “Sei solo influenzata dall’ambiente di cui fai parte!” Ovvero: i miei ritorni di fede sarebbero modi per adeguarmi ai desideri della mia famiglia e della mia dolce metà. A costo di pubblicare i fatti miei, rispondo che… sì, la sofferenza dei miei genitori davanti al mio allontanamento del cattolicesimo è qualcosa che avrei volentieri evitato. Ma ho sempre seguito il mio cuore e la mia coscienza, qualunque cosa facessi. Soffrendo io stessa per le discussioni e le incomprensioni in merito, se ne capitavano. Quanto alla dolce metà, è adusa a discutere animatamente, per poi placarsi senza problemi. D’altronde, in un rapporto equilibrato, ciascuno dei due accetta e rispetta l’altro. Questo è amore; il resto è sottomissione.
11.  “Tu fai del bene, ma continuando a tenerti in tasca la tessera del partito nazista. Almeno, Schindler viveva in una dittatura. Tu che scusa hai?” Questa perla di amenità si riferisce al fatto che praticavo attivismo LGBT continuando a frequentare la Messa domenicale. Rimando ai punti 3 e 4. Superfluo dire che non ho mai avuto tessere di partito. Soprattutto, questo tipo di ragionamento denota una (volontaria o meno) superficialità nel definire un percorso spirituale. L’inizio di un cammino interiore non è uguale per tutti ed è determinato da temperamento personale e circostanze esteriori. Ma, nel momento in cui comincia, è necessario proseguirlo a dispetto delle difficoltà, se si vuole che porti a un superamento delle proprie debolezze e vedute personali. Per questo, resto scettica (per quanto curiosa) circa le “religioni fai-da-te”. Né è vero che si può essere “interamente autodeterminati” in campo etico e spirituale: gli stimoli alla riflessione e al cambiamento vengono comunque dall’esterno. Anche la via dello Zen, che invita a “recuperare il proprio vero Sé”, è impercorribile in modo serio, senza maestri e senza ritiri. In ogni caso, seguire un cammino spirituale significa diventare man mano sempre meno legati all’asserzione dei propri gusti e delle proprie convinzioni. “Prendere una tessera” è, invece, un procedimento opposto: si parte da convinzioni già costituite, per sancirle con un atto formale. Rimane, in ogni caso, un gesto “esteriore”, non una rivoluzione del proprio sentire e del proprio atteggiamento esistenziale. Si può aderire a un partito o un’associazione anche senza sentimento o mutamento essenziale della propria vita, per puro calcolo razionale. Anzi, si dovrebbe, aggiungerei. Se mutano le convinzioni o le circostanze che le avevano provocate, è indispensabile mutare tessera. Questo – in un cammino spirituale – sarebbe un’incostanza che renderebbe inefficace quanto intrapreso. In linguaggio cristiano: nessuno che ponga mano all’aratro e poi si volga indietro è degno del regno di Dio. Il paragone fra tessera di partito e appartenenza religiosa, pertanto, non è calzante.
12.  “Sei tornata a una struttura che non approvi, solo perché non hai il coraggio di vivere i tuoi valori da sola!” In ambito cristiano, si vive sempre in un’ecclesia, in una comunità. Ergo, “vivere i propri valori da soli” non ha un grandissimo senso, in questo campo. Può essere una scelta esistenziale e personale rispettabile, ma non c’entra molto con ciò che s’intende per Cristianesimo. Né mi ha mai affascinato l’idea di “fondare una Chiesa alternativa”, perché essa sarebbe stata un impasto dei miei limiti personali con la mia esperienza precedente. Ergo, niente di fondamentalmente nuovo o migliore.
13.  “Ti va bene anche che, nella tua Chiesa, ci sia chi vuol mettere a tacere la voce dei non credenti?” Nel momento in cui i suddetti non credenti diffondono disinformazione sulle religioni e paura/disprezzo verso chi le pratica, assolutamente sì.

Allora, perché mi sono allontanata dalla mia Chiesa d’origine?
L’inizio del mio allontanamento è cominciato con pressioni da parte di qualcuno perché io abbandonassi “una chiesa pedofila, omofoba e razzista”. Ammetto la mia debolezza. Ma c’è dell’altro.
La spiritualità cristiana è fondata, in gran parte, sugli stimoli verbali. Fatico pertanto a percepirne i benefici, ora che ho scoperto la gracilità delle parole e il vuoto che può nascondersi dietro di esse. Avverto forse la stanchezza del predicatore, la sua difficoltà nel riproporre i suoi sermoni sulle Scritture.
            Soprattutto, ho perduto quel senso di “incorporazione” che costituiva il mio fervore. Mi è impossibile avere quella fede assoluta che permette di dire “qui stanno i buoni, di là ci sono i cattivi”. Il mio tormento nello scoprire i lati mondani della propaganda cattolica è stato uno stimolo a distinguere la sostanza della fede dalle campagne mediatiche temporanee o dalle esigenze di prestigio del clero.

            Ho così toccato (nell’orazione) quel Dio che è Silenzio, negazione d’ogni confessionalità e pensiero. Ciò mi ha portato a un’inalienabile solitudine – o, perlomeno, all’incapacità di appartenere a un “gregge”. E questo, probabilmente, non cambierebbe nemmeno se io decidessi di tornare alla pratica cattolica. Di sicuro, il mio cammino non terrà conto né dell’approvazione, né dell’odio di chi legge. That’s all, folks.

Commenti

  1. Post interessante.... Ma esistono tante scuole di Buddhismo e di Induismo che avresti potuto approfondire. In ultima analisi anche qualche movimento gnostico.
    E come "ultima ratio" il molto tollerante Pastafarianesimo

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    1. In effetti, sono in contatto con la scuola Zen Soto italiana che fa capo al maestro milanese Tetsugen Serra. ;) E consiglio caldamente a chiunque gli incontri presso il monastero Enso-Ji/Il Cerchio a Milano, o i ritiri a Sanbo-ji (Pagazzano di Berceto, provincia di Parma). La mia osservazione piccata è una semplice risposta a coloro che applicano il principio dell' "onestà intellettuale" solo agli avversari, salvo poi nascondere volutamente ciò che potrebbe dare ombra a loro. E' anche un'osservazione che mira a mostrare come l'identificazione col potere politico sia deleteria per TUTTE le religioni, perché le inquina con le sue esigenze di astuzia e d violenza (Machiavelli docet). Sono stata in contatto anche con un vescovo della Chiesa Valentiniana (gnostica) e ho contribuito a finanziare l'incontro organizzato dai Pastafariani a Milano per il 3 ottobre. Però, al momento, non mi sento in particolare sintonia né con gli uni, né con gli altri. Soprattutto, la tolleranza (in una via spirituale) mi interessa solo se è funzionale a progredire sul cammino che porta alla serenità e all'amore disinteressato. Se è semplice indulgenza o lassismo... beh, tanto vale restare senza religione. xD Non ho bisogno di un maestro, per fare quello che mi pare. xD

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  2. Già , post interessante , ma non smuove più di tanto chi ha fede nel bene e non ha mai commesso il male.

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