Passa ai contenuti principali

Un imprevisto frammento d'arte

A memoria dei manerbiesi, il n° 8 di Piazza Italia è sempre stato una farmacia. La dott.ssa Bresadola (proprietaria del locale) le ha attribuito circa due secoli di età. È appartenuta, per generazioni, ai Bontardelli; è stata “Farmacia Priori”; ora, è “Il piccolo fiore” di Antonella Antonini, negozio di alimenti senza glutine, biologici e dermocosmesi naturale. Quello che colpisce chi entra, però, è il soffitto affrescato. 

            Lo ritrovò proprio il dott. Matteo Priori (ora, esercitante qualche numero civico più in là), nel giugno 2008. Durante i lavori per sistemare l’impianto elettrico, fece capolino la superficie dipinta. Il farmacista informò amici restauratori di Brescia, che provvidero a pulire gli affreschi con un semplice spazzolino da denti e acqua. Ne risultarono finte cornici, finti incassi e girali di foglie tipici del gusto di fine ‘600 per la decorazione di interni. In particolar modo, questo tipo di affreschi (moltiplicanti illusoriamente la profondità di volte e soffitti) abbondano nei palazzi di Brescia. Fra gli altri, si può ricordare Palazzo Martinengo Cesaresco Novarino I (piazza del Foro 7): la “loggia nuova” del cortile presenta, sulle volte, “decorazioni ad affresco a riquadri e specchiature ottagonali, con grandi girali di foglie, chiaramente della fine del ‘600” (Fausto Lechi, Le dimore bresciane in cinque secoli di storia, 1974, «Edizioni di Storia Bresciana», vol. V: “Il Seicento”, pag. 26).
           
Vezzo tipicamente nobiliare è quello di esibire lo stemma, dipinto in bella vista. Esso reca un gufo, una borsa con erba e una fascia centrale rappresentante tre globi. Questi ultimi elementi fanno pensare allo stemma dei Colleoni, nell’omonima cappella a lato di Santa Maria Maggiore a Bergamo (1470). “Colleoni” è un cognome nobiliare che si ritrova anche a Brescia, per esempio nel nome di Palazzo Martinengo Colleoni di Pianezza (via Matteotti 8). Lo stemma è sormontato da un elmo pennato, il che rimanda a un retaggio cavalleresco. Questo elemento, per l’appunto, è ricorrente nel blasone di diversi casati. In Valtrompia, se ne fregiarono –fra gli altri– i Ferraglio e i Sabatti.
            Fra i materiali, furono individuati polvere di marmo rosa proveniente da Cremona e lapislazzuli. S’intravedono altri fregi, oltre a quelli riportati alla luce. Negli angoli, le pitture sono ottocentesche e a stampo; le menzionano Angelo e Michelangelo Tiefenthaler (Manerbio. Le strade e le piazze, Verolanuova 2013, Edizioni La Pianura, pag. 137).
            Al di là della piacevolezza, gli affreschi di Piazza Italia 8 sono silenziosi testimoni di come il tempo si stratifichi negli edifici di un paese, svelando storie nello stesso momento in cui suscitano domande.

Pubblicato su Paese Mio Manerbio, N°98, luglio 2015, p. 13.

Commenti

Post popolari in questo blog

Letteratura spagnola del XVII secolo

Il Seicento è, anche per la Spagna, il secolo del Barocco. Tipici della letteratura dell'epoca sono il "culteranesimo" (predilezione per termini preziosi e difficili) e il "concettismo" (ricerca di figure retoriche che accostino elementi assai diversi fra loro, suscitando stupore e meraviglia nel lettore). Per liberare il Barocco dall'accusa di artificiosità, si è cercato di distinguere una corrente "culterana", letterariamente corrotta e di contenuti anche immorali, da una corrente "concettista", nutrita dalla grande tradizione intellettuale e morale spagnola. E' vero che il Barocco spagnolo vede, al proprio interno, vivaci polemiche fra autori (come Luis de Gòngora e Francisco de Quevedo) e gruppi. Ma l'esistenza di queste due contrapposte correnti non ha fondamento reale. Quanto al concettismo, è interessante notare come esso sia stato alimentato dalla significativa definizione che di "concetto" ha dato Francesco

Farfalle prigioniere, ovvero La vita è sogno

Una giovane mano traccia le linee d’una farfalla. Una farfalla vera si dibatte sotto una campanella di vetro. La mano (che, ora, ha il volto d’un giovane pallido e fine) alza la campanella. L’insetto, finalmente libero, si libra e guida lo spettatore nella storia del suo alter ego, la Sposa Cadavere.              Così come Beetlejuice , The Corpse Bride (2005; regia di Tim Burton e Mike Johnson) si svolge a cavallo tra il mondo dei vivi e quello dei morti, mostrandone l’ambiguità. A partire dal fatto che il mondo dei “vivi” è intriso di tinte funeree, fra il blu e il grigio, mentre quello dei “morti” è caleidoscopico, multiforme, scoppiettante. A questi spettano la gioia, la saggezza e la passione; a quelli la noia, la decadenza, l’aridità. Fra i “vivi”, ogni cosa si svolge secondo sterili schemi; fra i “morti”, ogni sogno è possibile. Per l’appunto, di sogno si tratta, nel caso di tutti e tre i protagonisti. A Victor e Victoria, destinati a un matrimonio di convenienza, non è co

"Gomorra": dal libro al film

All’inizio, il buio. Poi, lentamente, sbocciano velenosi fiori di luce: lividi, violenti. Lampade abbronzanti che delineano una figura maschile, immobile espressione di forza.   Così comincia il film Gomorra, di Matteo Garrone (2008), tratto dal celeberrimo libro-inchiesta di Roberto Saviano. L’opera del giornalista prendeva avvio in un porto: un container si apriva per errore, centinaia di corpi ne cadevano. Il rimpatrio clandestino dei defunti cinesi era l’emblema del porto di Napoli come “ombelico del mondo”, dal quale simili traffici partono ed al quale approdano, da ogni angolo del pianeta. Il film di Garrone si apre, invece, in un centro benessere, dove regna un clima di soddisfazione e virile narcisismo. Proprio qui esplode la violenza: tre spari, che interrompono il benessere e, al contempo, sembrano inserirvisi naturalmente, come un’acqua carsica che affiora in un suolo perché sotto vi scorreva da prima. Il tutto sottolineato da una canzone neomelodica italiana: i