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I Macc dè le Ure, una pioggia di folk

Sabato 13 giugno e domenica 14 giugno 2015 sono stati i giorni della “Fest’ACLI” di zona per il circolo di Manerbio. La seconda serata ha regalato scrosci di pioggia torrenziale alle Associazioni Cristiane Lavoratori Italiani radunate sotto il Palatenda di via Duca d’Aosta; ma il rumore dell’acqua inaspettata è stato soffocato da ben altra musica. Uno spazio era stato infatti riservato a “I Macc dè le Ure”, un gruppo musicale folk che circola per feste ed eventi paesani a ravvivare la memoria delle canzoni popolari bresciane. Nato nel 1994, contava, inizialmente, quattro componenti: Emanuela Biancardi (voce – chitarra); Federica Cressi (voce); Tarcisio Lanfredi (voce – chitarra); Federico Passi (voce – chitarra – flauto). Da circa dieci anni, si sono aggiunti Gianna Rizzo (voce – armonica) e Renato Bertelli (voce – chitarra). Il loro repertorio deve molto alla memoria degli anziani, che hanno consegnato versi di lavoro, amore e osteria. Qualche integrazione dei testi è stata necessaria. Letteralmente predestinate sono state l’amicizia e la collaborazione fra i “Macc dè le Ure” e un altro “matto cantore” innamorato della Bassa Bresciana: il poeta dialettale manerbiese Memo Bortolozzi (1936 – 2010). Per ricordarlo, il gruppo ha eseguito un suo testo musicato da Renato Bertelli: “La càza ‘n montàgna”, alla presenza della sorella Angela Maria Bortolozzi. 

            Gli altri brani parlavano di matrimoni contestati, di lavori faticosi o cantavano goderecce “Litanie del vino”. Non è mancato quello che i “Macc” hanno presentato come il primo canto di protesta femminile nella Bassa: “Gri… papà mio bel papà”. La protagonista è una ragazza bella e giovane, che si ribella al matrimonio impostole dalla famiglia con un vecchio ricco. Un tantino meno idealistica era la canzone che lamentava l’urgenza delle necessità corporee in momenti poco opportuni: “Prima di uscir di casa, domanda al didietro cosa vuol fare…” D’altronde, la canzone popolare è soprattutto schiettezza ed è inutile celare l’importanza che simili impellenze hanno nella vita di ciascuno.
            Immancabile è stata la commemorazione delle serenate che i giovani, un tempo, dedicavano alle beneamate, tra la speranza di riceverne un sorriso e la paura di vedersi recapitare qualche bastonata dai familiari delle ragazze. Ben altra storia, invece, era quella della madre che cercava inutilmente di farsi fare giustizia da un sindaco, contro il giovanotto che aveva sorpreso e baciato sua figlia contro la volontà di quest’ultima. Nell’ottica dei “Macc”, la Bassa Bresciana è fatta di storie e non resta che raccontarle. I loro “sberleffi” sono vecchi sfoghi di contadini, ma anche sberleffi al tempo, che lasciano un dubbio: sarà vero che “certe cose” sono solo “di una volta”?

Pubblicato su Paese Mio Manerbio, N°98, luglio 2015, p. 13.

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