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Visualizzazione dei post da aprile, 2015

Punk Jews

“Sono l’unica a sognare una versione rock del Kol Nidre ?” Così scrissi tempo fa su Twitter. Bisogna stare attenti ai desideri… c’è il rischio che siano già stati realizzati, da qualche parte. Infatti, se non esiste un Kol Nidre accompagnato dalle chitarre elettriche, sono pur sempre reali gli ebrei punk.             Punk Jews (2012; regia di Jesse Zook Mann) è un docufilm sulla vita di coloro che sono riusciti a fondere il proprio retaggio religioso con la subcultura punk, intesa come coltivazione di tutto ciò che è “rottura degli schemi”. Per rendere immediatamente chiaro di cosa si sta parlando, il film si apre con il cantante newyorkese Yishai: scritte in ebraico sulla cuffia, acconciatura chassidica e una potentissima voce da punk rock per urlare il suo « GOD! ». Questo grido spalanca le immagini di Long Island e dei concerti del gruppo Moshiach Oi! , ovvero “Messia” seguito dall’espressione yiddish “oy!” (indicante angoscia). “Oi!” era anche il nome di un movimento punk rock

In un bene impacchettato male

Fin dal titolo, vien voglia di chiedersi di che “bene” parli Vincenzo Calò e in che senso sia “impacchettato male”. In copertina, ammicca la Surprise! di Ambra Simeone: una scatola infiocchettata, che si svela vuota. Una sorpresa poco cortese, uno scherzo di cattivo gusto, forse. O c’è altro?  Mi ricordo Il Piccolo Principe di Antoine de Saint-Exupéry,: il pilota, per disegnare al Piccolo Principe la pecora che desidera, gli rifila il bozzetto di una scatola. E quella è la soluzione: dentro l’involucro, la fantasia del bambino può porre ciò che preferisce. Così pure, la Surprise! può essere qualunque cosa. È un eterno inizio, di quelli invocati da Niccolò Fabi sul frontespizio: “Ah si vivesse solo di inizi/di eccitazioni da prima volta/quando tutto ti sorprende e/nulla ti appartiene ancora…” Il “bene impacchettato male” torna a pag. 38: è quello che serve a trattenere le “pazzie”, contate dal poeta insieme alle “stelle perse”. E Vincenzo prova davvero ad avvolgere e infiocchett

Rabbia e rabbia

C’è la rabbia di chi è cresciuto sano, amato, con qualche problema, ma nessuna tragedia: normale, in poche parole. La rabbia di chi, uscendo dal guscio, scopre che il mondo non è tutto come dovrebbe essere, ovvero il calco in gesso di casa sua. La rabbia del normale che si considera un buon esempio, o addirittura uno spirito eletto , fra tanti subumani . La rabbia di chi si erge a “degno offeso” quando gli viene rivolto anche solo un minimo segno di contrarietà, ma pretende una “libertà” che è quella di giudicare, condannare e reprimere chi non è un buon esempio come lui. La rabbia di chi crede d’aver trovato una Verità Assoluta da propinare a chiunque – e chi cerca di frenare il suo delirio è un mistificatore o un dittatore. Diamine, non si può più nemmeno dire la Verità?             Poi, c’è la rabbia di chi incontra costui. Di chi si deve sentir dire che è un pagliaccio o un estremista dal Normale solo perché desidera ciò che anche quest’ultimo ha ( ma TU non puoi! TU sei difett

L’universo femminile e María Zambrano al “B. Pascal” di Manerbio

“Uomo, sei capace d’essere giusto? È una donna che ti pone la domanda […] cerca, indaga e distingui, se puoi, i sessi nell’amministrazione della natura. Dovunque li troverai confusi, dovunque essi cooperano in un insieme armonioso a questo capolavoro immortale.” Così scriveva Olympe de Gouges, autrice della Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina (1791). A lei è dedicato il ciclo di conferenze L’universo femminile: vita e pensiero nella diversità di genere, organizzato presso l’I.I.S. “B. Pascal” di Manerbio dall’associazione locale “Donne Oltre”. La coordinatrice è la prof.ssa Rosaria Tarantino, docente presso l’istituto ospite. L’iniziativa ha avuto la fattiva attenzione dell’amministrazione comunale. Il ciclo è stato inaugurato il 17 aprile 2015 da Paola Coppi, dottore di ricerca in filosofia politica all’Università di Verona. Il titolo da lei portato è stato: María Zambrano. Storia di una speranza in cerca del suo argomento. María Zambrano (Vélez-Málaga 1904 – Ma

L'isola del silenzio

Come un guscio, il battello galleggia fra lo smalto del cielo e il cristallo vivo dell’acqua. A larghi giri, l’isoletta di San Giulio d’Orta si avvicina. Il traghetto approda di fronte all’imboccatura della basilica, che sale verso il cuore della terraferma. Così, i visitatori ripercorrono incessantemente il cammino di quel sacerdote greco, Giulio da Egina, che portò il cristianesimo su questo fazzoletto di terra, soppiantando i culti precedenti (IV sec.). Le reliquie di Giulio sono custodite nella cripta della basilica, insieme a quelle degli altri “Santi Isolani”. Mai come qui è evidente quanto i morti siano il cuore dei vivi.             Risalgo la scalinata della basilica e percorro la viuzza fra gli edifici carichi di secoli. Il sapore delle costruzioni è medioevale, ma alcune – come l’Antica Bottega San Giulio – vantano tracce del XV e del XVI secolo. Il Ristoro, al mio arrivo, non è aperto.             Per arrivare all’abbazia benedettina Mater Ecclesiae, imbocco la cosid

Libertà

Una poltrona per due

Love Song for a Vampire

Bram Stoker's Dracula   (1992; regia di Francis Ford Coppola) è noto come “la versione cinematografica più fedele di Dracula ”. Si tratta di una fedeltà non tanto alla lettera, quanto alla sostanza del romanzo. Il film ostenta ciò che il libro adombra. I fantasmi che costruiscono le vicende dei protagonisti diventano carne e figura. Le lunari ed eteree vampire del castello divengono procaci, aggressive e ferine (penso che nominare Monica Bellucci renda l’idea). Se il Dracula letterario era evanescente e proteiforme, quello cinematografico di Gary Oldman cambia aspetto sotto i nostri occhi: da stravagante nobile romeno a guerriero, da giovane gentiluomo a belva. Lo scrittore poteva giocare intorno al “buco nero” in cui il suo vampiro consisteva sostanzialmente: non c’era alcun “Dracula oggettivo” in grado di autodefinirsi, presentarsi al lettore, avere un’esistenza autonoma. C’era solo la mole di diari, lettere e ritagli di giornale in cui i personaggi umani riportavano i propri pu

Tesoro alla cacciatora

Cari amici, sotto le feste, i canali televisivi si riempiono di stuzzicanti (o stucchevoli) prodotti. Di successo sicuro sono quelli del genere tesoro alla cacciatora. Arche perdute, geroglifici a sorpresa, antichi tomi e città sepolte: ecco come replicare un piatto facile, ma saporito. Ingredienti: 1.       Un eroe: palesemente, la sua occupazione quotidiana è la palestra. Nel tempo libero, si dedica alla caccia di tesori antichi e pericolosi; 2.       Una gnocca. Poliziotta, archeologa, studiosa o semplicemente di passaggio: l’importante è che sia gnocca. Senza di lei, la profusione di fascino plastificato che l’eroe emana andrebbe sprecata. È importante che lei mostri anche una parvenza di cervello, perché nessuno possa dire che il film “mercifica la donna” o simili. Deve essere anche… ho già detto “gnocca”? 3.       Il reggimoccolo: nella variante “secchione” o “giullare”, serve a stemperare i bollori causati dai primi due ingredienti, perché il film non prenda deriv

Risvegli

“Il mondo non mi domina più dall’alto. È sotto di me. Ho fatto una capriola e l’ho inghiottito”. Così raccontava L. T. S., dopo aver sperimentato il kensho, l’ “illuminazione” dello Zen ( Uqbar Love , N. 120, 24 gennaio 2015, p. 8).             Ogni persona che vive una conversione inghiotte il mondo: le abitudini, le convinzioni, le passioni precedenti, finanche se stessa. Sperimenta un luminoso stordimento quasi simile alla pazzia, agli occhi di chi vi assiste. E quello è, allo stesso tempo, un approdo e una partenza.             Agostino d’Ippona inghiottì il mondo leggendo i Vangeli e le epistole paoline: un tuffo dalle parole della retorica in una Parola d’altro genere. L’effetto fu una luce di sicurezza infusa nel cuore (cfr. Confessioni VIII, 12), dopo lo stato di somma tensione e frustrazione che precedette la conversione. Tanto l’accumulo di tensione, quanto le lacrime di Agostino ricordano lo stato d’animo di coloro che hanno affrontato l’esperienza del sesshin, giornate

La classe che non c'è

Pensando ai miei primi incontri con la Politica, le reazioni che ricordo sono sempre di diffidenza. So bene d’averle mutuate in famiglia e che sono state nutrite da un luoghi comuni inveterati come la pietra: La politica fa schifo, è tutto un “magna magna”, è un affare losco. Non intendo, qui, approfondire le radici di questi stereotipi (lavoro che non posso fare al momento e i cui risultati, ahimè, sarebbero prevedibilmente deprimenti).             Più tardi, quel poco di educazione civica che ho ricevuto nelle scuole pubbliche mi ha permesso di realizzare questo: la politica è come la guida di una nave. Se la nave affonda, affondiamo anche noi che vi stiamo sopra. Da allora (epoca delle scuole medie), sono stata vaccinata alla radice contro la tentazione del qualunquismo.             Sono rimaste, però, alcune difficoltà. E, ora che sono non matura, ma un po’ meno candida rispetto a dieci anni fa, ho anche modo di comprenderne il motivo.             Appartengo alla classe ch