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Visualizzazione dei post da novembre, 2013

In taberna quando sumus

La mia testa si cullava in un caldo vapore rosso. Davanti a me, la tavola coi resti di un’ottima zuppa di ceci e le bocce di Bacco divino che andavano svuotandosi. La chitarra accarezzava gli orecchi miei e dei fratelli, seduti attorno a lui e a una sua amica, che si accompagnavano in un duetto godereccio e dolcissimo.             Lui divenne un goliarda alla metà degli anni ’60; anche la donna era una nostra sorella. In una borsa, si era portato numerose copie dei propri tre libri, ormai difficili da reperire. Giornalista professionista, scrittore e blogger, si trovava a Pavia come membro della giuria di un premio letterario studentesco. Aveva prontamente avvisato del proprio arrivo anche noi goliardi locali, che abbiamo portato le nostre feluche nella sede della premiazione del concorso.             Alcuni fratelli avevano prenotato un tavolo in un locale del centro, salvo poi scoprire che i posti non bastavano e che l’avara saletta era gremita per una festa di compleanno. A

Due lacrime

  Il 20 novembre 2013, ha avuto luogo a Pavia l’annuale edizione di Gaudeamus Igitur, il concerto di canti studenteschi tradizionali a cura del coro del Collegio Cairoli. Naturalmente, noi goliardi non potevamo mancare. L’aula magna dell’istituto era trapunta delle nostre feluche e di quelle dei collegiali.             Io avevo due motivi in più per essere presente. Innanzitutto, uno dei tenori era il mio fidanzato –ci siamo colti subito con lo sguardo, lui raggiante nella sua tenuta da corista, io con un look dark che faceva a pugni con le insegne goliardiche. Poi, di quel coro avevo fatto parte io stessa per due anni. Il programma, salvo qualche modifica, riproponeva brani che avevo imparato ed eseguito coi miei compagni. In ogni nota e in ogni verso, erano impigliati ricordi minuti e vivissimi: le risate, i lazzi indirizzati a me e al mio ragazzo, le cene in pizzeria, i vocalizzi di riscaldamento, le “trasferte” nelle chiese o nell’aula magna dell’università (quando quasi tutt

Al fósc

Le gh’è, ‘n dèl fósc, strane care d’umbrìå, che le sa scónt de dré a i öcc; le ta pàrlå de ‘n mónt che ‘l sa vèt mìå sótå al sùl che i conós töcc. Gh’è ‘l saùr de le röze deèrte sótå ‘l sifolà dei nìgoi; sa zlóngå ‘l ciél en bìgoi che i fa’ catigulì ai caèi ‘ndormécc. L’àriå la sènt de limù e portogàl e apò la tèrå la g’ha la så cansù, ‘ntàt che mé, come föse ‘n pès ‘n de ‘na ghèdå d’àcquå, zmórse chèl öltem pensér che ‘l ma fa mal e ‘l làse ‘nsèmå ai mé öcc, en de ‘n cantù.     Traduzione: “ Al buio. Ci sono, al buio, strane carezze d’ombra,/che si nascondon dietro gli occhi;/ti parlan d’un mondo che non si vede/sotto il sole che conoscon tutti./C’è il sapor delle rose/aperte sotto lo zufolar delle nuvole;/si allunga il cielo in strisce/che fanno il solletico ai capelli dormienti./L’aria sa di limone e d’arancia/e anche la terra ha la propria canzone,/intanto che io, come fossi/un pesce in un grembo d’acqua,/spengo quell’ultimo pensier che mi fa mal

Manèrbe

T’ho mitìt ’n de ’n cantù izì a la nòt, ’ndo che ’l cör el sa scónt per fàs nöf co’ le ómbre. G’ho fàt de té el me fónt, dür d’acque érde de fiöm che ’n de ’l Tép le sa làå e le sa fónt. Ta g’hét l’udùr de ’l sùl còt, de le préde ’mpisàde da ön föc biànc, fiànc de la cézå che sö ’l cör e sö ’l sànc de la èciå Minèrvå la par dórmer en mès a pensér madür. E con de lé i dórmå i sècoi scür che i g’ha fàt rós el cör de chèstå tèrå, gróp de silènsio ’ndo che ’l pà ’l fa guèrå per nàser amó chèst àn, izì a le càse vistìde de cità che le sa mìgå quàtå stóriå v’ocór per fa’ ’n grà de la stràdå ’ndó che giü ’l cór.   Traduzione: “ Manerbio. Ti ho messo in un angolo vicino alla notte,/ dove il cuor si nasconde/ per rinnovarsi con le ombre./ Ho fatto di te il mio fondo,/ duro d’acque verdi di fiume/ che nel Tempo si lavano e fondono./ Hai il profumo del sole cotto,/ delle pietre accese da un fuoco bianco,/ fianco della chiesa che sul cuor e sul sangue/ de

Incontri ravvicinati d'un nuovo tipo

Il mio penultimo incontro con militanti di estrema destra non è stato esattamente qualcosa di equilibrato e fraterno. Pertanto, se non fosse stato per A., non avrei mai avuto occasione di scrivere queste righe. Io e A. ci conoscemmo litigando su un social network. La mia prima reazione nei suoi confronti fu d’esasperazione per la sua pedanteria e il suo… ehm, talento antidiplomatico. Notai in lui, però, anche una cultura sterminata e profonda, che non poté fare a meno di colpirmi –anche per via della giovane età di A. Il nostro rapporto si ammorbidì più tardi, un po’ perché ci scoprimmo entrambi goliardi (quindi, “fratelli”), un po’ perché A., dal vivo, è un pezzo di pane. La prima volta che abbiamo avuto occasione di incontrarci di persona, gli sono saltata al collo e mi sono tenuta avviticchiata al suo braccio per quasi tutta la mattinata. Il mio attaccamento da “sorellina” era già bell’e maturo. Quando ho saputo che lui avrebbe tenuto l’introduzione d’un convegno non lontano

I màcc

Gh’è argü che ‘l pàså i sò dé, che zabèle de per lùr i è cöntàcc, a cöntà óter; chi ‘l vùså cóntrå chèsti e cóntrå chèle, perché a fa’ ‘ndà ‘n malùrå i è sèmper “Vóter”; chi g’ha ‘l balù, i vistìcc o le bèle fómne o i òm… en mès a chèsti màcc, nóter pödaróm vìgå ‘l nóst balì per vìver: sa scüzóm se l’è pròpes chèl de scrìer.   Traduzione: “ I matti. C’è chi passa i propri giorni, che già/di per sé son contati, a contare altro;/chi urla contro questi e contro quelle,/perché a far andare in malora sono sempre i “Voi”;/chi ha il calcio, i vestiti o le belle/donne o gli uomini… fra tutti questi matti, noi/potremo avere il nostro pallino per vivere:/ci scusiam se è proprio quello di scrivere.” Premio Speciale del Presidente al Concorso Internazionale Artistico Letterario “Ambiart”, III edizione 2013, promosso da FareAmbiente Lombardia, Sezione C: Poesia in Vernacolo.  

I mangiatori di loto

οὐδ᾽ ἄρα Λωτοφάγοι μήδονθ᾽ ἑτάροισιν ὄλεθρον ἡμετέροις , ἀλλά σφι δόσαν λωτοῖο πάσασθαι . τῶν δ᾽ ὅς τις λωτοῖο φάγοι μελιηδέα καρπόν , οὐκέτ᾽ ἀπαγγεῖλαι πάλιν ἤθελεν οὐδὲ νέεσθαι , ἀλλ᾽ αὐτοῦ βούλοντο μετ᾽ ἀνδράσι Λωτοφάγοισι λωτὸν ἐρεπτόμενοι μενέμεν νόστου τε λαθέσθαι .   “Non meditavano la morte ai nostri compagni/i Lotofagi, ma diedero loro da mangiare del loto./E chi di essi mangiava il dolcissimo frutto del loto/non aveva più voglia d’annunziare e tornare,/ma preferiva restare lì tra i Lotofagi/a cibarsi di loto, e obliare il ritorno.” Odissea, IX, vv. 92-97.     Si sistemò sulla sedia imbottita. Un lieve movimento delle gambe, delle braccia –nient’altro. La lezione era cominciata alle nove del mattino; non avrebbe saputo dire che ore fossero, al momento. Intuì che la luce diffusa non era più quella del giorno. Davanti a lui, l’insegnante –la dott.ssa Cinzia Solari- sorrideva sempre, con quella caratteristica serenità che

De tempore et otio - Lettere autentiche

  “Pavia, sabato 12 ottobre 2013 Ti scrivo perché, forse, sei in grado di aiutarmi. Io vivo, negli ultimi tempi, con la sensazione di non riuscire a fermare il passare dei giorni. Non nel senso che io voglia davvero fermare il tempo, no! Il punto è che tutto mi sembra scivolarmi via, senza che riesca ad osservare, a riflettere, a godere dell’autunno e dei suoi colori, a gustare ogni istante, anche quando sono con te. Guardo fuori dalla finestra, penso: ‘Che meraviglia, le foglie che cadono dagli alberi!’ Poi, è già sera, penso ai miei doveri e già mi vedo il giorno dopo in ufficio, e poi ancora tornato qui la sera, e ancora, e ancora. Così, settembre è finito, ottobre già mi sfugge, e io mi rattristo al pensiero che tale percezione del tempo mi porterà, come trascinato fino all’inverno e poi alla primavera, e poi all’estate, e all’autunno successivo, anch’esso già finito ancor prima che sia iniziato. Che condanna, non riuscire più a ‘sentire’ le stagioni! Da bambino, da