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Il giro della papera, ovvero Appunti su pensieri (poco) prenatalizi


 
È l’inizio di dicembre e, a Pavia, c’è una profusione di luminarie già dal mese scorso (ma l’energia elettrica è gratis, per il vostro Comune?!). Quassù, in collegio, cominciano a formicolare alberelli di Natale. Su uno, sono appesi biglietti con dediche strappalacrime alle compagne, autoauguri per una buona sessione d’esami e, dulcis in fundo, una richiesta firmata dall’Alberello stesso: Caro Babbo Natale, vorrei che non dicessero più che sono brutto. Buon lavoro, Santa Claus.

            Io sono reduce da una peregrinazione sotto il cielo “grigio pavese”: una sfumatura cromatica che, prima o poi, sarà ufficializzata nelle riviste di moda o (più probabilmente) nella meteorologia. Obiettivi: un salto alla biblioteca centrale dell’università e reperimento dell’orario di ricevimento di un’insegnante. Se il primo è stato conseguito con uno schioccar di dita, per il secondo è stata tutta un’altra storia. Ci sono almeno quattro porte a cui andare a bussare, per cercare un’insegnante di lingue straniere (se non si sa in precedenza dove sia il suo studio). Si aggiunga che costei, tecnicamente, sarebbe stata assunta dalla Facoltà di CIM, che pare sia come la tribù di Levi: non avrebbe un territorio proprio. I suoi membri praticherebbero il nomadismo all’interno di Lettere e Scienze Politiche (così narrano le leggende locali). Tutto per dire che sono stata rimandata da una porta all’altra come il segnalino del Gioco dell’Oca. Cosa che, peraltro, s’addice alla mia natura di “Papera” (= “collegiale del S. Caterina da Siena”, per Google Translator). Aggiungiamo che non ho mai perduto la forma mentis della matricola sperduta (ah, le matricole… sono piezz’e core (1)argh). Al quinto (!!!) anno di permanenza a Pavia, sono ancora capacissima di vagare come una pallina da flipper disorientata. Il tutto con un clima non esattamente mite. Ieri, al telefono, la madre di una mia compagna siciliana avrebbe detto che, nei paesi suoi, farebbe “freddo”. La figliola si è giustamente inalberata: se parla di “freddo” chi guarda in faccia la Tunisia, cosa dovrebbe dire chi sta sotto le ascelle delle Alpi (o quasi)? In ogni caso, ho sudato come un mulo, perché i locali universitari in cui ho fatto capolino sono riscaldati a dovere e io indossavo ventordici chili di abiti invernali. Il tutto per ringraziare il principe azzurro che ho beccato nel Centro Linguistico (quello giusto!) e che mi ha informato sugli orari di ricevimento dell’Introvabile. Tornata alla base, mettermi a studiare subito mi è sembrata una cosa poco intelligente. Dunque, ho pensato bene di scriver questo post. Che dire? Buon quasi-(sgrunt!)-Natale!

(1) Espressione napoletana che ho adoperato a orecchio e in modo ignorantissimo, dato che nemmeno l’istruzione accademica è servita a depolentonizzarmi.

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