Passa ai contenuti principali

Cose da ragazze


Pasturo, 20 settembre 1936


Caro Vittorio,

torno a scriverti questa sera con un po’ di calma per dirti che oggi, giù al tennis, ho visto la Isa e che con mia somma gioia ho visto riconfermati tutti i migliori giudizi che io ho dato su di lei. È veramente una cara ragazza intelligente e bisogna proprio perdonarle alcuni brevi ‘errori di recitazione’ e qualche atteggiamento sbagliato. Sostanzialmente, è una personalità molto interessante, direi quasi eccezionale, e mi sembra di volerle sempre più bene. Sai che della vostra passeggiata, senza che io dicessi una parola, mi ha dato la stessa precisa versione che mi hai dato tu? Impossibilità di creare artificiosamente un’atmosfera –o meglio: di sostenere un’atmosfera creata artificiosamente –ritrovarsi delusi e smontati di fronte alla realtà dopo il lavoro d’immaginazione. Non abbiamo potuto dire di più. Ma mercoledì passerò tutto il pomeriggio da lei e potremo parlare. Ma la cosa sensazionale è questa: sai che cosa è venuta fuori a dirmi, spontaneamente, mezza ridendo, mezza nascondendosi con quella sua strana faccia ambigua? Che fra me e lei non si può parlare di amicizia e che per lei è un po’ come se fosse innamorata di me! Non è lo stesso discorso che ebbi a farti io a questo proposito? Ti assicuro che questa reciprocità, trattandosi di un sentimento tanto strano, mi ha molto colpita. Mi ha perfino detto che, quando mi vede, le viene una gran voglia che io la baci: e ti confesso che per me è lo stesso, cioè l’inverso: mi viene una gran voglia di baciarla. Di’ quello che vuoi: non mi è mai capitata una faccenda simile e ti assicuro che non ci capisco niente. Tanto più che, per quanto ambigua possa sembrare a raccontarla, la cosa non ha, nella mia intimità, niente di morboso: forse, per me è proprio come ti dicevo –l’idea che sia stata amica di Remo. Ma per lei, come si spiega? Con questi problemi di complicata psicologia femminile, ti lascio…”


ANTONIA POZZI

(Lettere)

Commenti

Post popolari in questo blog

Letteratura spagnola del XVII secolo

Il Seicento è, anche per la Spagna, il secolo del Barocco. Tipici della letteratura dell'epoca sono il "culteranesimo" (predilezione per termini preziosi e difficili) e il "concettismo" (ricerca di figure retoriche che accostino elementi assai diversi fra loro, suscitando stupore e meraviglia nel lettore). Per liberare il Barocco dall'accusa di artificiosità, si è cercato di distinguere una corrente "culterana", letterariamente corrotta e di contenuti anche immorali, da una corrente "concettista", nutrita dalla grande tradizione intellettuale e morale spagnola. E' vero che il Barocco spagnolo vede, al proprio interno, vivaci polemiche fra autori (come Luis de Gòngora e Francisco de Quevedo) e gruppi. Ma l'esistenza di queste due contrapposte correnti non ha fondamento reale. Quanto al concettismo, è interessante notare come esso sia stato alimentato dalla significativa definizione che di "concetto" ha dato Francesco

Farfalle prigioniere, ovvero La vita è sogno

Una giovane mano traccia le linee d’una farfalla. Una farfalla vera si dibatte sotto una campanella di vetro. La mano (che, ora, ha il volto d’un giovane pallido e fine) alza la campanella. L’insetto, finalmente libero, si libra e guida lo spettatore nella storia del suo alter ego, la Sposa Cadavere.              Così come Beetlejuice , The Corpse Bride (2005; regia di Tim Burton e Mike Johnson) si svolge a cavallo tra il mondo dei vivi e quello dei morti, mostrandone l’ambiguità. A partire dal fatto che il mondo dei “vivi” è intriso di tinte funeree, fra il blu e il grigio, mentre quello dei “morti” è caleidoscopico, multiforme, scoppiettante. A questi spettano la gioia, la saggezza e la passione; a quelli la noia, la decadenza, l’aridità. Fra i “vivi”, ogni cosa si svolge secondo sterili schemi; fra i “morti”, ogni sogno è possibile. Per l’appunto, di sogno si tratta, nel caso di tutti e tre i protagonisti. A Victor e Victoria, destinati a un matrimonio di convenienza, non è co

"Gomorra": dal libro al film

All’inizio, il buio. Poi, lentamente, sbocciano velenosi fiori di luce: lividi, violenti. Lampade abbronzanti che delineano una figura maschile, immobile espressione di forza.   Così comincia il film Gomorra, di Matteo Garrone (2008), tratto dal celeberrimo libro-inchiesta di Roberto Saviano. L’opera del giornalista prendeva avvio in un porto: un container si apriva per errore, centinaia di corpi ne cadevano. Il rimpatrio clandestino dei defunti cinesi era l’emblema del porto di Napoli come “ombelico del mondo”, dal quale simili traffici partono ed al quale approdano, da ogni angolo del pianeta. Il film di Garrone si apre, invece, in un centro benessere, dove regna un clima di soddisfazione e virile narcisismo. Proprio qui esplode la violenza: tre spari, che interrompono il benessere e, al contempo, sembrano inserirvisi naturalmente, come un’acqua carsica che affiora in un suolo perché sotto vi scorreva da prima. Il tutto sottolineato da una canzone neomelodica italiana: i