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Strabismo giudiziario

"CI SONO voluti sei anni. Sei anni di torture, ma alla fine il processo si è concluso con la piena assoluzione di tutti gli accusati. Non per mancanza di prove o per qualche sospetto vizio di forma, ma con l’assoluzione di tutti gli accusati perché innocenti, anzi proprio perché il fatto è risultato assolutamente inesistente. La vicenda era salita all’onore delle cronache quando, con la denuncia di alcuni genitori, si era affacciato il dubbio che certi bambini di 4/5 anni, avessero subìto abusi sessuali da parte di due insegnanti e di una bidella di una scuola materna di Rignano Flaminio, un paese di diecimila abitanti in provincia di Roma. Il fatto mi aveva fortemente indignato. No, non soltanto per il dubbio atroce che i bambini avessero o no subito quegli abusi, la qual cosa, soltanto in caso affermativo, avrebbe rappresentato un fatto di per sé gravissimo. Per quanto anch’io fossi convinto della necessità che si scoprisse al più presto la verità, devo tuttavia ammettere che, superato il primo momento, più del sospetto in sé, per quanto grave, mi aveva irritato l’atteggiamento di quei genitori. Fosse accaduto a me – avessi avuto io, il sospetto che una cosa simile fosse capitata ai miei figli - di sicuro anch’io avrei varcato i cancelli di quella scuola come una furia. La verità è importante e il pericolo che simili atti - se realmente appurati - si possano ripetere, lo è ancor di più. Perciò non è nemmeno escluso che, non ricevendo risposte convincenti, nell’incertezza, anch’io mi sarei rivolto al giudice. Fin qui la logica di un qualunque padre di famiglia, che dovrebbe essere anche la stessa alla quale s’ispira la scuola, l’etica, la morale e la stessa dignità di un Paese. E, fin qui, anche ciò che i genitori di Rignano, fino a quel momento, avevano fatto, e che mi trovava assolutamente d’accordo. Le due insegnanti e la bidella, accusate di violenza sessuale nei confronti di quei bambini, per quanto si fossero difese negando fermamente qualsiasi addebito, erano state subito inquisite, giudicate per direttissima, e finite in galera. Qualcosa non quadrasse in quella storia. Le tre donne, tutte sposate e madri a loro volta, vivevano da sempre nello stesso paese e stavano in quella scuola ininterrottamente da decenni senza che mai, in tutti quegli anni, ci fosse stato il minimo sentore di violenze o di abusi di sorta. E allora? Come era stato possibile formulare un’accusa così infamante? Da ciò che avevo letto, avevo saputo che una delle madri aveva rivelato ad alcune amiche - i cui figli frequentavano la stessa scuola - di aver notato da qualche tempo come suo figlio di quattro anni ostentasse atteggiamenti insoliti, facendo strani giochi e mostrando particolare interesse per i suoi attributi sessuali. Di qui la convinzione, da nulla provata, che la ragione si dovesse ricercare nella scuola: «Con chi giocate? Che giochi fate? Cosa dicono, cosa fanno le maestre?» Passaparola. Non trascorse una settimana e altri genitori (una ventina) su evidente suggerimento della denunziante, si riunirono in gruppo, anche loro affermando di aver rilevato nei loro figli strani atteggiamenti e convinte, dopo aver interrogato gli stessi bambini, che le ragioni non potessero che essere riconducibili agli «strani giochi» che le maestre da qualche tempo organizzavano in quella scuola. Già dopo i primi accertamenti le accuse si erano però rivelate insussistenti e tutti gli insegnanti erano stati scarcerati. Difficile, a quel punto - trattandosi di bambini di quattro/cinque anni - trovare il bandolo della matassa. La verità è un gatto che fugge e che forse nemmeno quei bambini sarebbero mai più riusciti a catturare. Se, nonostante tutto, un dubbio a me fosse rimasto, non potendo venire a capo di nulla, non avrei potuto far altro che togliere i miei figli da quella scuola. I genitori di Rignano no. Si riunirono questa volta in comitato. Assunsero avvocati di grido, organizzarono dibattiti, rilasciarono interviste a giornali e televisioni, trasformando un dubbio in un sospetto, poi in un’ipotesi, e infine, in un caso nazionale. Da un giorno all’altro, oltre che un Paese di malfattori, di mafiosi, di evasori, ci scoprimmo essere un Paese di pedofili. «Cosa importa? Importante è scoprire la verità!» Prima il Paese, poi tutta la nazione, si divise in innocentisti e colpevolisti. Fu in quel momento che incominciai a capire che ciò che costoro stavano cercando non era affatto la giustizia. Cos’è che non andava? Non andava quella voglia sfrenata di vincere ad ogni costo. Quell’odore di vendetta e di denaro. Non andava, soprattutto, che quei bambini venissero ogni volta coinvolti, interrogati, manovrati, citati, smentiti... Entrarono in scena psicologi, psichiatri, investigatori che, rincorrendo i «si dice», entravano con disinvoltura inimmaginabile nelle case degli insegnanti (innocenti fino a prova contraria) ai quali (chissà perché) al momento dell’arresto era stato sospeso lo stipendio, con il rischio di mandare in fumo le loro famiglie, alla ricerca di prove, di oggetti, di immagini che collimassero con le frasi, con i racconti forse estorti , ma certamente contorti dei loro figli. Poteva bastare? No, perché ora, più che di ricercare la verità con il minor danno per i bambini, si trattava di vincere: A la guerre comme à la guerre! E, intanto che le maestre e il marito di una di esse perdevano
la loro onorabilità, e dopo che durante il periodo di carcerazione erano state insultate e persino percosse da altre detenute, i genitori di Rignano che fecero? Accettarono di sottoporre i bambini - gli stessi che dichiaravano di voler difendere - a un test «attitudinale» per verificare se fossero in grado di testimoniare e, a quel punto, l’interrogatorio partì. «Certo che è vero!» Questo nostro Paese, avvezzo oramai a ogni genere di nefandezze, vide anche questo: i pargoli di Rignano alla sbarra!
Per quanto gravi si potessero immaginare i presunti abusi denunciati, un bimbo di quell’età, con il conforto di una buona famiglia e una parola giusta della mamma, dopo un mese di sicuro se ne sarebbe dimenticato. Ognuno diventa adulto nella propria epoca, e la nostra - chi lo può negare? - è una inaudita stagione di sesso e di inqualificabili volgarità: per convincersene basta andare una volta allo stadio, al cinema, in un bar, camminare semplicemente per la strada o capitare casualmente davanti alla TV dopo l’orario «protetto». (Non è raro che molti bambini abbiano ormai l’apparecchio nella loro stanzetta). Come si può oggi affermare con assoluta certezza che il comportamento un po’ strano di un bambino sia stato indotto da questo, piuttosto che da quell’avvenimento? Nella vita di tutti i giorni le cose si mescolano e si sovrappongono. I bambini velocemente apprendono e - se nessuno ci mette il becco - velocemente dimenticano. Chi, come il sottoscritto, ha avuto l’avventura di vivere quell’età durante gli ultimi anni della guerra, ha visto, udito, e spesso vissuto, cose inenarrabili. Basterebbe, a questo proposito, rileggere Malaparte. Eppure, eccoci qua! Quelle immagini, una volta metabolizzate e collocate nel ripostiglio della memoria, sono semplicemente diventate parte del nostro patrimonio di conoscenza. Così facendo, i genitori di Rignano le hanno invece mantenute vive. Le hanno anzi rinvigorite ogni volta che sono tornati sull’argomento,
stimolando la fervida fantasia dei loro figli, che, a quell’età, è più vivace di quanto essi non possano immaginare. Ogni volta che quei bambini si apprestavano a ripetere le loro storie davanti a un giudice o a uno psicologo, io provavo un profondo senso di sgomento e di rabbia. Davvero quei genitori così zelanti amavano i loro figli più della verità e della giustizia? Per tentare di stabilire la verità tra due donne che si contendevano la maternità dello stesso bambino, Salomone propose di tagliare il bambino a metà. Solo quella delle due che si oppose era certamente la vera madre. Ieri, dopo sei anni di dibattimenti processuali, di marchette televisive, di sermoni di azzeccagarbugli, di ingiurie, di dolore, tutti gli insegnanti sono stati finalmente assolti per non aver commesso il fatto. E adesso, chi chiederà scusa alle maestre e al marito di uno di esse, esposti al pubblico ludibrio per sei lunghi anni?
Non ho fatto in tempo a respirare profondamente, quando ho sentito alla televisione le urla di quei genitori che ora, di fronte all’assoluzione inattesa (e ai loro figli che nel frattempo hanno compiuto dieci anni) hanno inscenato l’ulteriore azione di protesta e... deciso, seduta stante, di ricominciare tutto da capo ricorrendo in appello. Se fosse vissuto ai tempi nostri, temo che il prudente Re Salomone - passato alla storia per la sua saggezza - si sarebbe ben guardato dal lanciare la famosa salomonica provocazione."


Romano Franco Tagliati, Il Borghese, luglio 2012.







































 










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