Passa ai contenuti principali

Tre bresciani a Roma (per tacer dell'auto)


A volte, succede. Arriva un pretesto qualunque (un premio letterario o consimili) e si decide –con tanto entusiasmo e sancta simplicitas- di sciropparsi la distanza autostradale fra Brescia e Roma, andata e ritorno, nella stessa giornata.

            Il pretesto è dato dalla figlia; ma l’autore della pensata –va da sé- è il padre. Cinquant’anni non hanno minimamente affievolito il suo feeling con i motori e ci tiene a provarlo. Convince il resto della famiglia, d’altronde, con tanti buoni pretesti: “In auto è più comodo, possiamo fare tutte le soste che vogliamo, costa meno, siamo più autonomi…” A dargli dannatamente ragione si mette anche lo sciopero dei mezzi pubblici.

            Una buona occasione per familiarizzarsi –finalmente- con il navigatore satellitare, sapientemente impostato dal cuginetto quattordicenne.

            Cinque ore e mezza stantuffate dalle canzoni dei Nomadi e di Fabrizio De André, oltre che da inserti radiofonici pop di dubbio valore e dalle notizie sul traffico. Sulla strada, la dea bendata non si dimostra troppo malevola; non si trovano intoppi neppure sul tratto fra Roncobilaccio e Barberino del Mugello, ormai contrassegnati da una nomea pari a quella di Scilla e Cariddi.

            A Roma, il traffico è fitto come la nebbia a Pavia –e non è un’affermazione da poco. La vettura intraprende un “trenino estremo” nella jungla nera di veicoli, cercando di non trasformare in pasta sfoglia i ragazzi che si infilano disperatamente nel traffico con i propri motorini.

            La sede dell’università La Sapienza (facoltà di Lettere) viene rintracciata quasi subito, grazie all’impagabile navigatore. La difficoltà è, semmai, il parcheggio, che è a pagamento. Avviene una lotta all’ultimo sangue fra il capofamiglia ed il parcometro, che sembra essersi intascato indebitamente 5 euro in più. Giunge in soccorso una donna del posto: con una parlata robusta ed un gesto sicuro, fa sputare al “mariolo” il biglietto con l’orario: le 14:00, ma del giorno dopo. Troppa grazia, Sant’Antonio. Il calunniato parcometro, dunque, non stava compiendo un furto, ma un atto generoso.

            Poco dopo, si pranza ad una trattoria e –giusto per essere originali- si ordinano pasta all’amatriciana –finalmente, fatta come Dio comanda e servita in rassicuranti vaschette di ceramica- e saltimbocca alla romana. Oltre a tutto questo bendiddio, viene somministrata la cortesia di un considerevole alleggerimento del portafoglio.

            Alla fine del pranzo, passando davanti ad una farmacia, si fa conoscenza con uno scheletro finto (scala 1:33, per l’esattezza) che risponde al nome di “Pippo”.

            I cestini per la carta straccia sono rari, ma sussiegosi e recanti la sigla “S. P. Q. R.” Cose che fanno sentire miserabilmente provinciali.

            Il ritorno alla base è l’occasione per riabbracciare un amico della figlia, che studia alla Sapienza. Si ha anche la fortuna di imbattersi in tre giovanotti che preparano una scenetta per la laurea di un’amica: paludati di paramenti ecclesiastici, si apprestano a sbucare e celebrare la sua tesi su Sisto IV.

            Alla sera, si scopre che il tratto di strada più problematico è quello fra l’università e l’autostrada, tappezzato di automobili ancora peggio rispetto al mattino. Perla di saggezza della madre di famiglia: “Saremmo stati più veloci a piedi!”

            Non si sa come, i tre barbari venuti dal nord riguadagnano il casello e si dirigono nuovamente verso le loro nebbiose pianure. Il ritorno procede tranquillo, sospinto da caffeina e beveroni energetici, appena funestato dalle emergenze gastriche della figliola, peraltro affrontate con tempestività e competenza dalla squadra.

            All’arrivo, ci si sente talmente stanchi, disfatti, soddisfatti e pirla da giustificarsi quest’impresa senz’alcuno sforzo. Semel in anno licet insanire.

Commenti

Post popolari in questo blog

Letteratura spagnola del XVII secolo

Il Seicento è, anche per la Spagna, il secolo del Barocco. Tipici della letteratura dell'epoca sono il "culteranesimo" (predilezione per termini preziosi e difficili) e il "concettismo" (ricerca di figure retoriche che accostino elementi assai diversi fra loro, suscitando stupore e meraviglia nel lettore). Per liberare il Barocco dall'accusa di artificiosità, si è cercato di distinguere una corrente "culterana", letterariamente corrotta e di contenuti anche immorali, da una corrente "concettista", nutrita dalla grande tradizione intellettuale e morale spagnola. E' vero che il Barocco spagnolo vede, al proprio interno, vivaci polemiche fra autori (come Luis de Gòngora e Francisco de Quevedo) e gruppi. Ma l'esistenza di queste due contrapposte correnti non ha fondamento reale. Quanto al concettismo, è interessante notare come esso sia stato alimentato dalla significativa definizione che di "concetto" ha dato Francesco

Farfalle prigioniere, ovvero La vita è sogno

Una giovane mano traccia le linee d’una farfalla. Una farfalla vera si dibatte sotto una campanella di vetro. La mano (che, ora, ha il volto d’un giovane pallido e fine) alza la campanella. L’insetto, finalmente libero, si libra e guida lo spettatore nella storia del suo alter ego, la Sposa Cadavere.              Così come Beetlejuice , The Corpse Bride (2005; regia di Tim Burton e Mike Johnson) si svolge a cavallo tra il mondo dei vivi e quello dei morti, mostrandone l’ambiguità. A partire dal fatto che il mondo dei “vivi” è intriso di tinte funeree, fra il blu e il grigio, mentre quello dei “morti” è caleidoscopico, multiforme, scoppiettante. A questi spettano la gioia, la saggezza e la passione; a quelli la noia, la decadenza, l’aridità. Fra i “vivi”, ogni cosa si svolge secondo sterili schemi; fra i “morti”, ogni sogno è possibile. Per l’appunto, di sogno si tratta, nel caso di tutti e tre i protagonisti. A Victor e Victoria, destinati a un matrimonio di convenienza, non è co

Il Cimitero di Manerbio: cittadini fino all'ultimo

Con l'autunno, è arrivato anche il momento di ricordare l' "autunno della vita" e chi gli è andato incontro: i nostri cari defunti. Perché non parlare della storia del nostro Cimitero , che presto molti manerbiesi andranno a visitare?  Ovviamente, il luogo di sepoltura non è sempre stato là dove si trova oggi, né ha sempre avuto le stesse caratteristiche. Fino al 1817, il camposanto di Manerbio era adiacente al lato settentrionale della chiesa parrocchiale , fra la casa del curato di S. Vincenzo e la strada provinciale. Era un'usanza di origine medievale, che voleva le tombe affiancate ai luoghi sacri, quando non addirittura all'interno di essi. Magari sotto l'altare, se si trattava di defunti in odore di santità. Era un modo per onorare coloro che ormai "erano con Dio" e degni a loro volta di una forma di venerazione. Per costituire questo camposanto, era stato acquistato un terreno privato ed era stata occupata anche una parte del terraglio